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I DAAL, band composta da due “vecchi” filibustieri del prog italiano come Alfio Costa e Davide Guidoni, sono indubbiamente uno dei progetti prog più interessanti emersi nell’ultimo decennio. Dopo un periodo di pausa di circa 4 anni, tornano sulle scene in grande stile con ben due album in contemporanea “Decalogue of Darkness” e appunto questo “Navels Falling into a Living Origami”. Ciò che colpisce fin dai primi ascolti è che, mentre nel primo i nostri due eroi rimangono in zona di comfort ritornando alle atmosfere scure e sofisticate dell’acclamato “Dodecahedron”, nel secondo si avventurano verso lidi più ambiziosi. Infatti il disco è un’unica suite di 50 minuti in cui il duo rielabora materiale già edito, ma totalmente riarrangiato, assieme a materiale nuovo, dando alla luce un lavoro volutamente eterogeneo con mille sfaccettature. La suite infatti può essere percepita come un viaggio sonoro, di cui Alfio Costa con le sue tastiere è il creatore dei vari ambienti in cui siamo immersi, mentre Davide Guidoni, con il suo drumming mai banale, ci fa da guida all’interno del mondo sonoro creato dal suo compagno. Il tutto funziona a meraviglia, fin dalle prime note veniamo rapiti e catapultati nel loro universo sonoro e a tal proposito ne consiglio l’ascolto in cuffia o la notte prima di addormentarsi. La musica in sé non è particolarmente innovativa, è un mix tra space rock, prog ed elettronica, sono chiare le influenze dell’elettronica tedesca, in alcuni punti viene in mente anche Philip Glass, ma il riferimento maggiore sembrano essere i Pink Floyd. Alcuni passaggi portano ineluttabilmente alla mente “Shine on you Crazy Diamond”, “Echoes” oppure “On The Run”, ma più che in termini di contenuti, mutuano dal gruppo inglese il loro approccio alla musica, il concetto di viaggio sonoro, di creare immagini e mondi paralleli con la musica. Tutto ciò lo fanno, non realizzando una copia blanda, ma reinterpretando il tutto con la loro personalità. E’ un disco dei DAAL e si sente. Ad accompagnarli ancora una volta un gruppo di musicisti molto bravi, in particolare i tre chitarristi che arricchiscono e impreziosiscono il lavoro del duo con interventi che si calano perfettamente nel contesto. L’unica parte vocale dell’album è cantata da Gugliemo Mariotti che, sul finale, intona una melodia eterea e liberatoria che, in una sorta di “Celestial Voice” di “Saucerful of Secrets”, ci guida alla conclusione del viaggio accompagnandoci all’esterno del labirinto sonoro creato in precedenza dal duo. Che altro aggiungere… ho sempre apprezzato questo coraggioso duo, anche se alcune rare volte più per lo spirito che per la musica in sé. Questa volta sono pienamente convinto senza alcune remora da questo che ritengo essere il loro disco migliore e tra i migliori dischi prog italiani dell’ultimo anno. Un disco che seppur complesso ti lascia il desiderio di essere ascoltato nuovamente e, probabilmente, non farà la muffa nel mio scaffale come è successo a tanti altri album prog usciti negli ultimi anni.
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