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NEXUS En el comienzo del Topos Uranos Record Runner / Melopea Discos 2017 ARG

Ad ogni nuova uscita dei Nexus dovrebbero scattare i radar di qualsiasi appassionato di rock sinfonico. Sebbene autrice di un prog non proprio originalissimo, la band argentina, infatti, non ha sbagliato un colpo, grazie ad una proposta capace di amalgamare al meglio l’enfasi emersoniana delle tastiere ad una finezza chitarristica di ispirazione hackettiana. Sarà che forse, nonostante vari cambi di formazione in una carriera discografica iniziata nel 1999, i due perni Lalo Huber e Carlos Lucena sono sempre rimasti saldamente al timone, ma gli equilibri musicali raggiunti dai Nexus sono pienamente confermati anche in questa occasione.
“En el comienzo del Topos Uranos” parte subito alla grande, con gli oltre sei minuti di “El ultimo dia”, che ci mostra un gruppo in gran forma, pronto ad abbinare, come al solito, gusto e tecnica. Dall’introduzione “spaziale” con l’atmosfera avvolta nel mistero al passaggio al piano classicheggiante, dal riff maestoso e sinfonico delle tastiere all’entrata perfetta della chitarra elettrica con un tema affascinante, dagli intrecci strumentali alle variazioni di tempo, con accelerazioni improvvise e passaggi pacati, ma non troppo, tutto è perfetto in questo incipit che dimostra come si possa fare ancora oggi del rock sinfonico di grande qualità. A seguire c’è l’episodio romantico “La casa del invierno”, unico pezzo cantato del disco (con un breve intervento dell’aggraziata voce femminile dell’ospite Roxy Truccolo), vagamente à la Camel e finemente melodica nelle parti vocali. Le restanti tracce mantengono buoni standard e si nota soprattutto un orientamento forse ancora maggiore, rispetto al passato, verso una vena classicheggiante e pomposa ben memore degli insegnamenti di Emerson, Lake & Palmer. Da menzionare la breve “Huellas”, a firma del chitarrista Lucena, che dopo un’introduzione con organo da chiesa, vede la sei corde indirizzare il tutto verso una raffinatezza che porta alla mente Anthony Phillips. Ottima, poi, la conclusione affidata a “Soplo de vida”, il brano più lungo dell’album con i suoi oltre nove minuti, che stilisticamente non cambia di una virgola il “sound Nexus”, ma che mostra, allo stesso modo della traccia di apertura, come la band viva un momento di felicissima ispirazione.
Il cd contiene tre brani in più rispetto al vinile e si tratta di altre composizioni di pregevole fattura. Penso che l’abbiate già capito da quanto scritto finora: disco assolutamente da non lasciarsi sfuggire, soprattutto se continuate ad emozionarvi col più classico prog sinfonico.



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Peppe Di Spirito

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