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WOBBLER Dwellers of the deep Dark Essence Records / Karisma Records 2020 NOR

Francamente di pormi interrogativi esistenziali sull’originalità e su cosa sia davvero il Prog nella sua più pura accezione ogni qual volta affronto una recensione dei Wobbler mi sono stancata, soprattutto perché quando la musica è bella e di valore non servirebbero troppi panegirici. Una piccola cosa la vorrei però dire per l’ennesima volta: “progressive” non sta per “progresso” ma per “progressione” da un genere musicale all’altro e più precisamente, nel nostro caso, dal rock alla musica classica. Se comprendiamo finalmente questo passaggio fondamentale forse la smetteremo una volta per tutte di cercare l’originalità a ogni costo che comunque è ormai una bestia assai rara.
I Wobbler sono dei veri maestri nel recuperare sonorità vintage graditissime e familiari agli amanti del prog inglese del periodo aureo convogliandole in composizioni elegantemente strutturate dalla produzione impeccabile. La loro maestria sta sia nella scelta di colorazioni profondamente tastieristiche e dai riflessi nordici, grazie all’utilizzo di un vasto parco di synth, che a una tecnica impeccabile che permette loro di mescolare alla perfezione sequenze che sono frutto di una accurata opera di composizione con momenti di improvvisazione libera per creare un insieme che non è mai lasciato al caso e che al tempo stesso sprigiona energia e movimento.
Questo è il quinto album in studio che giunge a ben 3 anni di distanza dal precedente “From Silence to Somewhere”. La line up è la medesima di allora, con gli immancabili Lars Fredrik Frøislie alle tastiere, Martin Nordrum Kneppen alla batteria, e Kristian Karl Hultgren al basso ai quali si sono aggiunti successivamente Andreas Wettergreen Strømman dei Tusmørke alla voce, nel gruppo fin da “Rites at Dawn” (2011), e Marius Halleland alla chitarra dal 2017. La nuova creazione è diversa dalla precedente e forse è un po’ insolita anche rispetto a tutti gli altri dischi che conosciamo, anche se in prevalenza posso affermare di ritrovarvi molte delle suadenti atmosfere di “Rites at Dawn”, album che ho amato in modo particolare. I testi rappresentano un viaggio nella profondità delle emozioni umane che sono frutto di sentimenti contrapposti e ciò contribuisce sicuramente a creare scenari sonori contrastanti. La copertina, che pare raffigurare un occhio la cui iride è composta da figure frattali con elementi che richiamano una natura selvaggia dalle colorazioni autunnali, è evocativa di una musica particolareggiata che si lega inevitabilmente alle brumose produzioni prog sinfoniche nord europee grazie a preziose contaminazioni folk, e allo stesso tempo rappresenta la soglia attraverso la quale si accede alle profondità del proprio io.
Le registrazioni sono avvenute mentre nel mondo dilagava la prima ondata pandemica Covid-19 ed i musicisti rinchiusi nei propri studi, con spirito Decameronesco, si scambiavano il materiale via via realizzato. Queste circostanze sicuramente hanno contribuito ad aggiungere una nota di fascino e tenebrosità alla musica, soprattutto nella traccia di chiusura, “Merry Macabre”, che si configura come insolitamente tetra, a partire dal titolo.
L’opera consta soltanto di 4 brani. I primi due, di media lunghezza, occupano il lato A del formato in vinile, disponibile anche in edizione limitata colorata e trasparente. Il lato B comprende invece la breve e pastorale “Naiad Dreams” e la lunga e già citata “Merry Macabre” (19 minuti) che rappresenta senza dubbio il pezzo di maggiore innovazione nel repertorio dei Wobbler. “By the Banks” è un distillato di prog sinfonico di matrice nordica: come nella migliore delle tradizioni scorgiamo ampi riferimenti agli americani Cathedral e ai King Crimson ma in 13 minuti in effetti avviene di tutto in un mirabolante susseguirsi di sequenze più tirate e di intermezzi bucolici dai riflessi folk e gotici. “Five Rooms” si presenta a noi con un incipit evocativo che sembra catapultarci all’interno di un idillio in stile Bo Hansson per poi esplodere in una cavalcata Yessiana col basso in netta evidenza e cascate di Mellotron. Come se passassimo da una stanza all’altra, gli scenari cambiano rapidamente ed il ritmo e la complessità degli intrecci sembrano appartenere talvolta ai Gentle Giant mentre altre volte vengono disegnati panorami eleganti di ispirazione Canterburyana.
“Naiad Dreams” è una ballad disegnata da delicati arpeggi della chitarra acustica, “molto Yes Album” soprattutto all’inizio, su cui si allungano le ombre del Mellotron a creare una visione silvestre e ancestrale. Le Naiadi sono le ninfe delle acque nella mitologia greca e la musica si rivela particolarmente adatta ad evocare tali figure. Questo preludio mite è la porta di ingresso verso quella che si rivela la più grossa sorpresa dell’album e cioè la già anticipata “Merry Macabre”. Subito si respira aria di mistero con le gelide note del pianoforte che si allungano nel buio prima che la musica esploda con forza e ritmo ricordando qualcosa dei Genle Giant più maturi. Le incursioni delle tastiere, pesanti e inquiete, sembrano quelle di Emerson e da questo presupposto il brano sprofonda progressivamente nelle tenebre rivelando tutto il suo lugubre fascino, aspetto questo mai sperimentato prima dai Wobbler. Le cadenze rallentano, i cori si fanno funerei ed il pianoforte scintilla nelle tenebre. E quando la strada sembra quasi non offrirci vie di uscita, ecco l’ennesima fuga che ci apre nuovi scorci e troviamo ora cadenze jazzy e flessuose, ora sferzate hard e tuonanti, ora ampi scenari psichedelici. Le trovate sono così tante e le emozioni così forti che è impossibile non rimanere incollati all’ascolto per tutti e 19 i minuti di durata. La musica è densa di particolari messi in splendida evidenza da un lavoro di produzione impeccabile, ma tutto è come sempre posto al servizio della narrazione musicale che è sempre avvincente sia nei momenti più travolgenti che in quelli in cui si vuole dare maggiore risalto alle atmosfere. Il pezzo fluisce con una grande consequenzialità e chiude un album superbo e ricco di spunti. I detrattori rimangano pure a porsi domande sulla più intima essenza del Progressive Rock ma è molto più piacevole rituffarsi ancora nell’ascolto dell’album più atteso dell’anno con buona pace di tutti.



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Jessica Attene

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