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Quest'album è un continuo déjà-vu: la mente dell'ascoltatore è costantemente solleticata da mille e mille riferimenti a quanto sia stato composto e suonato nel periodo d'oro del progressive rock. L'aspetto interessante sta nel fatto che, nel suo essere palesemente derivativo, a volte in maniera più che sfacciata, con citazioni puntuali riconoscibilissime, l'album appare estremamente godibile e realizzato senza dubbio con intelligenza e sensibilità. Forse qualcuno rimarrà stupito nell'apprendere che dietro questo progetto si cela il tastierista dei norvegesi White Willow, Lars Fredrick Froislie. La parentela con il gruppo di origine rimane limitata al comune amore verso un certo tipo di musica, a qualche accento tenebroso e a qualche vago sentore di folk nordico, senza però alcun elemento metal gotico.
L'album si divide in sole 4 tracce, di cui la prima, di appena 41 secondi, funziona soltanto da brevissima intro. Per il resto l'opera si poggia sostanzialmente sulla lunga title track di 27 minuti: un vero e proprio tributo (che dà tutta l'aria di essere voluto e realizzato ad arte) ai grandi maestri del prog, con sonorità costruite su tappeti di tastiere vintage, dal Mellotron al Moog allo Hammond. I modelli, come ho già detto, sono rievocati in maniera molto riconoscibile. Così andiamo da passaggi che ricordano in maniera molto marcata i King Crimson, con svisate di Mellotron più che caratteristiche, a un cammeo, oserei dire spettacolare, che rievoca i Cathedral di "Stained Glass Stories". Abbiamo quindi uno switch improvviso verso i Gentle Giant, di cui viene riproposto il modo di cantare nella timbrica e nello stile, oltre ovviamente le peculiarità sonore e compositive, con un finale alla EL&P. Senza stare ad analizzare ogni singolo elemento nei dettagli, ciascuno di voi si potrà divertire a trovare tutti i riferimenti che vuole: ce ne sono a bizzeffe. Ovviamente scaturiscono grazie al comune background riferimenti ai viciniori Änglagård ed Anekdoten. "Rubato Industry" (un nome una garanzia!) si attesta sui 12 minuti abbondanti e sfoggia un'architettura robusta e vigorosa, di stampo Crimsoniano, con un sound derivativo ma senza i riferimenti così precisi della suite (chiamiamola così). Si apprezza un grande lavoro sul substrato percussivo e ritmico del basso e della batteria, con un linguaggio espressivo decisamente old fashioned che fa sfoggio di tecnica squisita. "Clair Obscur" offre altri 15 minuti di buona musica non accompagnata da elementi canori. L'apertura è molto morbida ed i primi minuti sono occupati da passaggi delicati ed elegiaci, con echi classicheggianti, di pianoforte e flauto che si immergono in un'atmosfera quasi surreale, messa in risalto da momenti di vuoto, interrotti da incursioni sonore dirompenti a base di Mellotron pesantissimi con riferimenti agli Änglagård ("Epilog"). Ovviamente il titolo di questo brano, che mette in risalto questa volontà di creare contrasti e chiaroscuri, non deve essere affatto casuale.
Devo dire che, nonostante l'assoluta mancanza di novità, nel loro voler emulare volutamente certi riferimenti musicali molto cari a loro (oltre che a me e a una buona fetta di appassionati), questo gruppo non mi lascia indifferente al suo fascino. Che ci volete fare? Gli ingredienti sono quelli giusti e volentieri mi lascio cadere nella loro trappola!
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