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THE OPIUM CARTEL Valor Apollon Records 2020 NOR

Fin dal primo album, risalente all’ormai remoto anno 2009, questo sembrava essere più che altro un progetto solista di Jacob Holm-Lupo che si differenziasse dai suoi White Willow per un approccio più leggero e tendente al pop. Accanto a lui, ad ogni uscita -e siamo qui arrivati alla terza- sotto questo monicker, c’è un novero di compagni d’avventura sempre diverso. L’unica presenza costante è quella di Lars Fredrik Frøislie, ormai facente quasi coppia fissa con Jacob, che tuttavia questa volta si dedica unicamente alla batteria, tralasciando le sue amate tastierone che lo hanno fatto conoscere ed apprezzare all’intero consesso Prog. Oltre a lui, tra i collaboratori riconosciamo sicuramente Bjørn Riis, che offre la sua preziosa chitarra su un paio di tracce, e poco più, visto che i nomi provengono da ambienti non proprio attinenti al Progressive Rock. Il buon Lupo si occupa tuttavia di gran parte della strumentazione.
L’impostazione poco affine al Prog non è proprio una sorpresa per questo progetto, come abbiamo già accennato, ma accogliamo comunque con un certo sconcerto il pop, elegante e sofisticato quanto si vuole, che ci avvolge fin dalla prima traccia, con la voce di Silje Huleboer che si muove delicatamente su ritmiche ed atmosfere affabili e melodiche che ben poche attrattive riservano per chi apprezza White Willow e altri gruppi similari.
La terza traccia (“A Question of Re-entry”), con la presenza di Riis, riporta le sorti dell’album in alto di un paio di tacche, muovendosi su terreni non troppo dissimili ai suoi Airbag nel corso di sei minuti interamente strumentali, un po’ inquietanti e psichedelici ma sicuramente apprezzabili.
La figlia di Lupo, Ina A, si occupa delle parti vocali della successiva “Nightwings”, più orientata verso un pop anni ’80 ma con bei suoni spaziali e ben arrangiata, con minori artifizi elettronici rispetto alle due canzoni d’avvio; un brano che ho decisamente apprezzato, benché anche stavolta, ovviamente, di Prog ci sia poco.
La Huleboer ritorna a farsi sentire su “Fairground Sunday”, bel brano delicato ed etereo, e sulla successiva, vagamente odiosa (per me) “Under Thunder”, con certe ritmiche tunz tunz che proprio non riesco a digerire.
Leah Marcu, proveniente da una band Prog-metal israeliana, si occupa delle parti vocali di “The Curfew Bell”, brano caratterizzato anche dagli archi (viola e violino) di Maria Grigoryeva, arrangiati da essa stessa. Il risultato è oggettivamente delizioso, benché la canzone sia quasi minimalista e piuttosto lineare.
L’album in teoria si conclude con la successiva “A Maelstrom of Stars”, altro brano strumentale che vede la presenza di Riis e che si muove anch’essa su atmosfere tra il sinfonico e lo psichedelico. Forse meno accattivante di “A Question of Re-entry” ma comunque buona conclusione di album…. anzi no: l’album si chiude effettivamente con una bonus-track, una cover dei Ratt, “What’s It Gonna Be”, cantata da Alexander Stenerud, giusto per confermare fino in fondo la devozione ad atmosfere e sonorità anni ’80 che quest’album sembra voler ricercare, esplorandone vari filoni, dai Roxy Music ai Camel di quegli anni. Il risultato è un po’ altalenante, a dir la verità, anche tenendo presente lo spirito che anima questo progetto; alcuni episodi decisamente apprezzabili affiancati da altri che quasi vorrei già dimenticare.



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Alberto Nucci

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