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Cosa mai dovremmo perdonare al gruppo di Mike Sary? Col loro ottavo lavoro i French TV ci danno una bella lezione di francese, dimostrando che il francese, loro, lo masticano benissimo! E il francese che la band parla, e col quale si diverte, non è fatto di parole ma di note musicali: la parte centrale dell'album, "The Pardon our French Medley" appunto (un lungo brano di 16 minuti), è composta dalla reinterpretazione di una serie di brani di progressive band francesi (Ange, Pulsar, Shylock, Carpe Diem, Atoll, Etron Fou Lelouban) il cui repertorio viene saccheggiato e stravolto, rimestato e riassemblato a creare un divertente e variegato bouillon. Bisogna osservare che la scelta degli ingredienti non è per niente banale: dei gruppi suddetti vengono infatti ripescati brani e passaggi poco battuti, non certo i cavalli di battaglia! A parte la trovata appena descritta, i French TV, ci regalano un campionario di canzoni a dir poco schizofreniche, secondo il loro imprevedibile ma caratteristico stile, composto da 3 pezzi di lungo minutaggio (mediamente 10 minuti ciascuno) ed un brano di appena sei minuti. Va bene, questi sono particolari interessanti per gli appassionati di statistica, ma l'aspetto più importante da sottolineare è il fatto che tutto questo tempo è stato ben impiegato! Anzi, direi proprio che tutti questi minuti sono pieni zeppi, se non infarciti, di roba. Il complice perfetto Mike Sary lo ha trovato nella mente alienata e contorta di Warren Dale che in questo album suona di tutto, partendo dal piano giocattolo e da altri balocchi non meglio identificati (come solo i Samla Mammas Manna osavano fare), fino ad arrivare al sax e alla fisarmonica. Come si dice in questi casi? Dio li fa e poi li accoppia! Bisogna dire che il meglio di sé i nostri musicanti lo riescono a dare quando si abbandonano a folleggiamenti e disinibizioni, allentando le briglie della loro fantasia. In questo senso, la pur bella traccia di apertura, "Everything Works in Mexico" ha un alone sin troppo serioso, mentre i due pezzi di chiusura sono a dir poco esilaranti, conditi di ottimo umorismo e trovate buffe e sorprendenti. "Tears of a Velvet Clown", che racchiude già nel titolo il mondo circense, si apre con una delle loro solite e buffe marcette giullaresche, per poi perdersi lungo traiettorie inimmaginabili, fra corde di banjo e mandolino, violini ed ottoni di tutte le taglie come in un cartoon della Warner Bros. Ancora più folle ed imprevedibile appare la traccia di chiusura il cui titolo, "When the Ruff Tuffs Take Over", rende ancora più chiaro l'assetto mentale del gruppo. Chiamatelo progressive d'avanguardia, chiamatelo RIO, chiamatelo pure come vi pare questo delizioso e geniale delirio strutturato, l'importante è come sempre godersi lo spettacolo.
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