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I French TV, sì quelli che esordirono nel 1984 e ci regalarono una serie di dischi belli, personali, pazzi, interessanti. Quelli che, per gran comodità dei recensori, furono sommariamente infilati nel filone del Rock In Opposition, prog di avanguardia. Quelli che aspettiamo sempre al varco per avere la certezza di poter acquistare un disco valido, ricco e senza noia. Oppure no, i French TV, quelli che volete voi, che vi piacerà definire come al momento vi gira. Comunque quelli di Mike Sary, bassista, leader storico e mente di un po’ tutto quello che sono stati e ancora oggi sono. Eppure qualcosa è cambiato, con quest’ultimo lavoro in studio. C’è più serietà e maturità, c’è meno pazzia e più ordine, c’è l’idea della partitura e non del canovaccio. Con le dovute distanze e mi si perdonerà se porto ad esempio il sommo maestro, mi viene alla mente, come metro di paragone, Gran Wazoo all’interno della discografia zappiana. Con questo non vorrei far pensare ad una mia intenzione di sminuire il sempre ottimo lavoro dei French TV, anzi. La band è, ancora una volta, in parziale rivoluzione e si arricchisce di elementi di grande valore. Intanto è immediato notare che il personale è presentato come band a tutti gli effetti e non c’è idea di Mike Sary and the band. Sì c’è la conferma dell’ottimo batterista Mark L. Perry, drummer di rara precisione e puntualità e del fantasioso chitarrista dei nipponici TEE Katsumi Yoneda, ma le tastiere vengono prese in mano a Patrick Strawser dei Volaré, un grande passo artistico e innovativo. Chiudono ancora tre ospiti per violino, sax, flauto e tastiere aggiuntive. Le variazioni si fanno sentire e il risultato finale è piuttosto inedito per la band. Come detto c’è un po’ meno pazzia e sperimentazione e la musica si incanala preferibilmente verso un ottimo e ordinato jazz rock. Certo c’è ancora una buona dose di Canterbury sound e Yoneda, che partecipa anche come co-autore, con le sue influenze Al di Meola / Phil Miller / Metheny / Latimer, tiene ben fermo il registro fusion ’80 oriented. Qui e là non mancano brevi e carini momenti che riportano a Zappa o ai Gong, talvolta paiono messi a mo’ di citazione, così da accrescere il divertimento. Veniamo ai brani. Otto tracce, tutte interessanti e ognuna con particolarità proprie, a partire dall’apertura con “Ghost Zone” e dalle sue sonorità ambient, una sorta di intro (forse un po’ Yessiano) che porta a “Noble Obelisk” un jazz rock nel quale il suono etereo e dinamico portato dalla chitarra di Yoneda si miscela perfettamente alle note più blues e seventies delle tastiere di Strawser. Ancora atmosfere ’70 in “Urgent Fury” con flauti, violini e ritmiche spezzate per riconoscersi in un’atmosfera alla Jean Luc Ponty. Ancora da citare, sicuramente e forse come brano migliore del disco, “Tree Incident” grande varietà di suoni e parti chitarristiche interessanti che si snodano su atmosfere percussive e ipnotiche. E mi fermo qui senza svelare i contenuti delle due tracce più lunghe, davvero scoppiettanti. Non riesco a sbilanciarmi nell’interpretare il pensiero dei molti (o pochi) fan della band e delle loro sonorità precedentemente orientate verso forme più pazze e sperimentali. Forse questa fase più matura e seria della produzione potrebbe spiazzarli un po’. Al di là di tutto a me il disco è piaciuto davvero tanto e penso che sia da provare, assolutamente, concedendogli svariati ascolti perché anche se le trame apparentemente sembrano meno contorte e intrecciate di un tempo, nulla è scontato o lineare e il divertimento è certo.
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