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Grandi conferme per la TV francese, che torna con un nuovo interessante album (il nono della serie) di ottima musica, con la stessa line-up dei due precedenti lavori (se si eccettua il batterista, per il quale questo è il secondo album coi French TV), cosa questa più unica che rara nell'ormai ultra-ventennale storia del progetto di Mike Sary che ha attraversato nel tempo continui rimaneggiamenti di organico. Questa stabilità ma soprattutto l'affiatamento raggiunto con la vulcanica mente del tastierista e fiatista Warren Dale si percepiscono fortemente nell'ambito di un album tanto sregolato quanto geniale. Purtroppo l'avventura di questa formazione sembra terminare qui, visto che Warren, già prima della pubblicazione di "This is what we do", ha deciso di abbandonare il gruppo in cerca di nuove esperienze, e con lui probabilmente se ne andrà anche il chitarrista Chris Smith. I programmi futuri della TV francese non possiamo certamente saperli al momento, accontentiamoci quindi, si fa per dire, di questa nuova creazione. Uno dei pregi fondamentali dei French TV è quello di rendere masticabili gli intrugli musicali apparentemente più indigesti, anche se questa volta il gruppo ha abbandonato le soluzioni più sinfoniche di "Pardon our French" per inerpicarsi ancora di più attraverso valichi tortuosi ed imprevedibili. Di musica indigesta i French TV sono dei veri intenditori, dal momento che conoscono perfettamente il bagaglio musicale dei gruppi che gravitano attorno alla corrente RIO ed in generale del Prog d'avanguardia; ricordiamo le loro cover di Etron Fou e Zamla Mammaz Manna. Non stupisce allora più di tanto la loro disinvoltura nell'incollare insieme elementi musicali apparentemente inconciliabili. Ecco quindi che con orgoglio il gruppo ci fa vedere cosa fa: nell'interno del booklet sono fotografate le varie fasi di un complesso lavoro di bricolage che coinvolge tutta la band. Sagome di polistirolo e insetti di plastica vengono incollati e colorati a formare un oggetto inspiegabile, quello che con orgoglio viene mostrato in copertina: un agglomerato di idee senza alcuna consequenzialità né filo logico… che tuttavia sta bene insieme e pure in maniera piacevole, ancorché bizzarra. Un oggetto quindi che potrebbe essere la concretizzazione materiale della loro musica, una specie di caos organizzato costruito su livelli sovrapposti di grande complessità, con particolari nuovi sempre da scoprire, il tutto gestito con perizia tecnica, ingegno e maestria ed ovviamente senza prendersi troppo sul serio, con una vena ironica inesauribile. Suoni vecchi e nuovi, divagazioni Zappiane e tanti strumenti, ognuno con la propria personalità e voglia di anarchia e protagonismo, ci accompagnano nell'arco di cinque composizioni. E' da notare che in "My little Cicada", forse fra i pezzi più trascinanti, tutte le parti di tastiere sono a carico dell'ospite Paolo Botta, tastierista lombardo che attualmente dà vita al progetto Yugen (stilisticamente in linea con le idee di Mike Sary). In conclusione, se già conoscete il gruppo, sapete benissimo cosa aspettarvi: un album che non vi deluderà affatto; se invece avete poca confidenza con questa band e volete provare ad avvicinarvi ad un certo tipo di musica, magari potrete rimanere positivamente sorpresi. Nella seconda ipotesi fate bene attenzione, ad un primo ascolto potreste rimanere scoraggiati dalla grossa concentrazione di idee musicali che vi travolgerà, ma vi assicuro che si tratta di uno di quegli album che non possono far altro che crescere progressivamente con gli ascolti.
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