|
Mike Henderson è uno dei membri fondatori dei favolosi Djam Karet, che ormai già da parecchi anni deliziano gli appassionati più attenti di progressive rock. Con “White Arrow Project” ci presenta un album solista molto interessante, strutturato in maniera sensibilmente diversa dai lavori strumentali del suo gruppo, ma dai quali certamente ha portato un certo bagaglio con sé. Si tratta di un cd contenente dodici tracce, di durata abbastanza contenuta, nelle quali il Henderson è impegnato alle chitarre, al basso, ai sintetizzatori, alle percussioni, al mandolino e agli effetti sonori ed è coadiuvato da altri musicisti alle voci, alla batteria e al violoncello elettrico. Il processo di composizione è partito da delle tracce di base portate dal chitarrista, sulle quali hanno poi messo mano anche i suoi collaboratori, apportando nuove idee e dando un contributo notevole per il loro sviluppo. Il risultato finale vede un album corposo e omogeneo, in cui si parte spesso dal suono delle chitarre acustiche, ma che vede ogni canzone ricca di timbri e di effetti, per arrivare ad una dimensione sonora affascinante e onirica, in una sorta di space-rock non eccessivamente complesso, ma che riesce a catturare. Lo spirito dei Djam Karte più ipnotici è quindi chiaramente avvertibile e si mescola a quelle che possono essere viste come altre influenze, dai Pink Floyd a David Sylvian, da Brian Eno al post-rock, fino a sfiorare persino il Southern Rock ed un flavour orientale in alcune occasioni. Brani come “Lasso” e “Can’t wait anymore” ricreano atmosfere particolarmente evocative, con un sound che unisce world music, elettronica ed echi di Dead Can Dance e Cocteau Twins, grazie anche alle magie vocali di Caroline Dourley (anche se nella maggior parte dei pezzi presenti il cantante principale è il pur bravo Jack Hudson). “Equinox” e “Read my mind”, invece, potrebbero ben figurare in un qualsiasi album dei Djam Karet come momenti rilassati. “White Arrow Project” è quindi un cd in cui si punta molto sul feeling, eppure si mantiene abbastanza lontano dalla commerciabilità e ci offre cinquantasette minuti (forse un po’ troppi per una proposta del genere) di musica gradevolissima e destinata un po’ a tutti i palati fini.
|