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Si avvicina anche per i Djam Karet il tempo di celebrare 30 anni di una lunga e intensa attività all’insegna del progressive rock più intelligente e meno convenzionale...“The Trip” è effettivamente il primo disco in cui possiamo ascoltare una composizione inedita del gruppo di Topanga a distanza di otto anni dall’eccellente “Night For Baku”: una delle novità di “The Trip” è il ritrovato bassista Aaron Kenyon, già presente sul live “Afghan” del 2001, che si aggiunge insieme a Mike Murray (ricordiamo la sua partecipazione nel precedente “The Heavy Soul Sessions”) ai membri storici Gayle Ellett, Mike Henderson e Chuck Oken Jr. Dopo tutti questi ultimi anni trascorsi in parte seguendo un’intensa attività live e soprattutto divisi in svariati ed interessantissimi progetti musicali, i Djam Karet sono ritornati insieme con un album sorprendente per la sua quiete cosmica: “The Trip” è ha tutti gli effetti una delle composizione più articolate ed ambiziose dei Djam Karet, una lunga suite di oltre quaranta minuti strutturata attraverso più livelli, in sottile equilibrio tra l’identità rock più ortodossa e quella più votata alla musica ambient ed elettronica. La componente rock dei Djam Karet si trasfigura in “The Trip” attraverso atmosfere soffuse e delicatamente psichedeliche, in cui gli assoli e le distorsioni di chitarra di Henderson e Murray si insidiano nelle trame ipnotiche ed avvolgenti delle tastiere, diventa quindi inevitabile pensare ai Pink Floyd periodo 1968-1970 ed alla successiva ondata di discepoli kraut-rock in acido... Tutto però rimane in un ambito piuttosto astratto e sognante, la musica aleggia costantemente su un livello spaziale e lisergico teso ad elevarsi oltre le sensazioni più terrene ed urgenti del rock; in un certo senso gli arrangiamenti rock di “The Trip” danno quasi l’impressione di essere dei semplici interludi al più elettronico viaggio cosmico e mentale dei Djam Karet. Ci sono degli elementi sonori che possono sicuramente collegarci agli antichi ed immortali Kosmischer Kurier, però gli scenari evocati dai synths analogici e digitali (con abbondante utilizzo di mellotron, field recordins di vario tipo, samples ed effetti) di Gayle Ellet, affiancato dal sempre ottimo Chuck Oken Jr, mi sembrano ancora una volta leggermente più contemporanei, con un’attitudine più vicina all’ambient-trance music di Steve Roach e Robert Rich. Particolarmente gradevole, infine, anche la copertina del digipak, raffigurante un bel francobollo commemorativo del lancio di un razzo sovietico, con accanto il classico logo dei Djam Karet con tanto di misteriosa scritta in indonesiano, il cui significato tradotto in inglese vuol dire proprio... “It was a trip out of your mind”!
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