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Quindicesimo sigillo per questa solida e longeva band e tutti quanti ci chiediamo cosa ci avrebbe riservato questa volta il gruppo americano dopo l’insolita svolta sinfonica di “Recollection Harvest” che risale ormai a 5 anni orsono. In realtà lo sforzo creativo per la realizzazione di questo album è solo parziale dal momento che si tratta di un live in studio a tutti gli effetti che propone un breve excursus nella recente discografia della band. L’idea era quella di ricreare in studio il feeling del concerto dal vivo e per questo il gruppo tiene a precisare che non è stata utilizzata nessuna manipolazione sonora tramite computer, non è stato aggiunto nessun overdub e non è stata effettuata alcuna compressione audio. L’idea è stata quella di catapultarsi in studio di registrazione subito dopo le esibizioni dal vivo (che i Djam Karet raramente concedono) effettuate in Francia in occasione del festival Crescendo, cercando di ricreare le sensazioni e l’atmosfera di quelle serate (Ma non sarebbe stato più semplice fare un disco live?). E’ interessante notare un piccolo aggiustamento di line-up, con Gayle Ellett totalmente immerso nel suo ruolo di tastierista e le chitarre affidate alla coppia Mike Henderson e Mike Murray, quest’ultimo nuovo del gruppo. Questo nuovo assetto consente di trovare un nuovo equilibrio sonoro particolarmente adatto ad una dimensione live. Ce ne rendiamo conto già dalla traccia di apertura, “Hungry Ghost”, tratta dall’album “A Night for Baku” del 2003 che presenta linee di chitarra dinamiche e fluide che si stagliano in prima linea assieme al mini-moog con le sue splendide e ruvide sonorità. Rispetto all’originale il sound appare meno spigoloso, più duttile e più compatto, tanto che sembra quasi di ascoltare una canzone diversa. Le chitarre stesse non subissano il sound che acquista una nuova freschezza ed un nuovo dinamismo. Anche la successiva “The Red Threaded Sexy Beast” proviene dal medesimo album in studio ed in particolare viene fuori dall’unione di due diverse tracce, “The Red Threaded” e “Sexy Beast”, che scivolano impercettibilmente l’una nell’altra. “Consider Figure Three” proviene dall’album del 1991 “Suspension & Displacement” che, a differenza degli altri citati in questo CD, è un coacervo di sensazioni sonore ambient ed elettroniche. Abbiamo quindi un brano fatto sostanzialmente di atmosfere dilatate e suoni spaziali che lentamente si espandono, in maniera non dissimile dalla traccia originale. Dall’ultimo album in studio, lo splendido “Recollection Harvest”, sono state ricavate due canzoni: la centrale “The Packing House” e la conclusiva “The Gyspsy and the Hegemon”. Si tratta inevitabilmente dei momenti più sinfonici del CD, conditi comunque dai consueti ed intriganti impasti jazz-rock e space, che è un piacere riscoprire attraverso questa spigliata reintepretazione. Manca all’appello un ultimo pezzo, “Dedicated to K.C.” che rappresenta anche l’unica cover mai registrata dai Djam Karet, tratta dall’album “Ethique” del 1982, appartenente al francese Richard Pinhas. Per un nuovo album in studio dovremo aspettare un altro po’ ma direi che questo disco è tutt’altro che superfluo e anzi, può rappresentare un buon punto di partenza per chi non conosce questa band, direi fondamentale nel panorama prog moderno e che considero obbligatorio esplorare, almeno in parte. Giocoforza l’album appare piuttosto eclettico ma la sua forza è quella di mettere in evidenza diversi aspetti di questa band che ha un repertorio molto ricco e variabile. L’impatto live di queste nuove interpretazioni può offrire agli appassionati che già conoscono i Djam Karet una nuova prospettiva di ascolto dei vecchi brani che appaiono decisamente rinfrescati. Sicuramente si tratta di un album di alta qualità che mette ancora in risalto lo stile moderno e variabile di questa band che oscilla senza difficoltà da uno scenario all’altro, con le sue escursioni stellari, le sue inquietanti visioni elettroniche, chiudendosi in un ermetismo insondabile per poi aprirsi inaspettatamente verso soluzioni eleganti e sinfoniche.
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