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KALLE WALLNER Voices Gentle Art of Music 2022 GER

Singolare che si intitoli “Voices” un lavoro quasi interamente strumentale… Ma di fatto, il chitarrista bavarese degli RPWL si era ritrovato con tanti frammenti ed idee musicali, che alla fine – mettendo tutto assieme con un buon lavoro di produzione – avevano dato vita al suo quarto album solista in studio. Gli strumenti danno quindi “voce” a queste sette tracce, ciascuna intitolata con il proprio numero in scaletta, come se si trattasse di una lunga suite articolata in più movimenti, rientrando così in un quadro organico e allo stesso tempo diversificato. Oltre al titolare – impegnato con chitarre, basso e tastiere programmate –, vi sono il noto batterista Marco Minnermann ed il tastierista Yogi Lang, anche lui negli RPWL. Un album quindi chitarristico, seppur non basato su chissà quali acrobazie tecniche, invero estraneo al prog-rock e con lievi contatti col prog-metal.
Dopo una intro elettro-psichedelica, “One” si rivela come un heavy-rock con velleità epiche e forse anche power, dimostrandosi prog tanto quanto potevano esserlo gli olandesi Elegy (persino l’inserimento nel filone prog-metal appariva all’epoca una forzatura, come del resto capitò per i finlandesi Stratovarius). La traccia di apertura si chiude all’insegna della fuga su scale neoclassiche e tutto sommato scorre senza particolari momenti da ricordare. I quasi otto minuti di “Two” sono invece dettati da riff duri e dalla presenza decisamente più marcata del basso, per poi passare inaspettatamente ad una fase molto più tranquilla, volta a dare serenità. Passati i tre minuti, il chitarrista si dimostra più ispirato e decisamente lirico, anche se poi ci si immette in altre partiture neoclassiche tendenti all’esercizio accademico e che possibilmente saranno ascoltate con piacere dai neofiti, stiracchiandosi poi verso la conclusione e tornando ai riff iniziali. Che ci sia un tema comune, lo si coglie nell’inizio brillante di “Three”, che a sorpresa risulta essere cantata! Dietro al microfono c’è Arno Menses (Subsignal), già presente su “Liquid”, precedente pubblicazione solista di Wallner del 2016. Una canzone piacevole, i cui interventi di chitarra vanno ascoltati ad alto volume per essere apprezzati nel loro entusiasmo teatrale. “Four” è aperta da una specie di continuo… “rigurgito” elettronico, per poi lanciarsi in una composizione sicuramente più elaborata delle precedenti, forse più “progressiva”, in cui le fasi cambiano rapidamente pur mantenendo alta la tensione, anche nelle parti di stasi. Sei minuti quasi tondi, che nella loro seconda parte mostrano Kalle davvero sugli scudi, pur non strabiliando eccessivamente. “Five” ha delle buone idee che però non vengono sviluppate, passando così ai nove minuti e mezzo di “Six”. Una prima parte giocata molto sull’effetto delle note “scivolate” come in una slide guitar, passando così alle atmosfere immaginifiche e romantiche in stile Lanvall, grazie anche ai cori di Carmen Tannich, conosciuta artisticamente come Tanyc. Le partiture così enfatiche non possono non fare pensare persino a David Gilmour, anche solo per brevi attimi. Gli “scivolamenti ad effetto”, comunque, poi riprendono e divengono il tratto distintivo del brano. Si chiude con l’ancora più lunga “Seven. Out”, poco più di undici minuti convincenti, che in alcuni punti ricordano persino il Ritchie Blackmore dei pezzi più lenti presenti su “Slaves and Master” (chi se lo ricorda?) dei Deep Purple. Si tratta ovviamente di puntate occasionali, per una traccia che poi va pian piano prendendo nuova forma, sfruttando l’ispirazione di un pezzo floydiano come “One of these days”, rimanendo comunque nello stile complessivo dell’album.
Non ci sono in questa ultima release chissà quali apici che facciano sobbalzare e che meritino di essere ricordati, c’è “solo” musica piacevole che – come detto – col prog non c’entra assolutamente nulla e che riempirà piacevolmente una parte della giornata a chi invece apprezza quest’altro tipo di genere, tenendo presente che la musica scorrerà per i fatti suoi abbastanza velocemente. La professionalità, comunque, non è in discussione.



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Michele Merenda

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