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A seguito della pubblicazione del loro decimo lavoro di studio (il numero riportato nel press-kit include anche le compilation con inediti), il concept album fantascientifico “Tales from outer space”, i prolifici tedeschi RPWL capitalizzano sulla buona accoglienza ricevuta (inclusa una fugace apparizione nella classifica dei dischi più venduti del loro paese d’origine) pubblicando questo doppio CD dal vivo, il settimo per la precisione. Il tour europeo da cui è tratto li vide esibirsi nel corso del 2019 in Germania, Regno Unito, Francia, Paesi Bassi, Svizzera e Polonia, con ottimo riscontro di pubblico ed una scaletta che prevedeva l’esecuzione dell’intero album in questione, riproposto in sequenza durante la prima metà dello show. Ciò che abbiamo nel nostro lettore è l’intero concerto del Culturpodium De Boerderij di Zoetermeer, ormai considerato uno dei templi del nuovo prog del vecchio continente, ed esiste anche in formato video, su supporti Blu-Ray e DVD. La formazione è la stessa ormai consolidata da circa 10 anni (con il tastierista di ruolo Marcus Jehle e il batterista Marc Turiaux ad affiancare i fondatori Yogi Lang e Kalle Wallner) a parte il ruolo del basso, che dopo la defezione di Christian Postl, è oggi affidato all’ospite Sebastian Harnack (Sylvan/Blind Ego). Il primo CD è dedicato appunto ad una riproposizione molto fedele dell’album “Tales from outer space”, introdotto da un prologo di stampo cinematografico in cui un narratore introduce la storia di uno sbarco alieno; la registrazione è cristallina e ciò permette a brani come “A new world” o soprattutto “Light of the world”di brillare nei loro avvolgenti effluvi pinkfloydiani, mettendo in luce la maestria di Wallner nelle sue escursioni solistiche in uno stile debitore di David Gilmour o più in generale del periodo post-Waters della band di Cambridge. La voce di Lang, esente da qualsiasi inflessione teatrale, pur nella sua apparente linearità è perfetta per il tipo di proposta, così come le sue tastiere (e quelle di Jehle) sono costantemente impegnate a tessere tappeti dal sapore cosmico tipicamente teutonico (pensiamo ad Eloy, Novalis o agli expat inglesi Nektar, più che ai Tangerine Dream), sempre presenti per aggiungere profondità, ma di rado protagoniste. Fanno parzialmente eccezione l’ottima, articolata “Give birth to the sun”, in cui un pastoso synth fa finalmente bella mostra di sé, un brano come “No tour place to be”, sostenuto da un ostinato di archi e che si congeda con arabeschi d’organo in stile “summer of love”, il pop-rock di “What I really need” in bilico tra gli U2 e i soliti Floyd di “Take it back” ed infine la breve ballata “Far away from home” in chiusura del primo disco. Alcune sorprese ci attendono invece nel secondo CD, in particolare la cover di Dylan (nientemeno che la celeberrima “Masters of war”), già resa propria dalla band in maniera esemplare nell’album “The RPWL experience” (2008), mentre più prevedibile è la scelta degli estratti dai loro album più datati: la ormai classica “Hole in the sky” che apriva l’album d’esordio “God has failed” (2000), l’orientaleggiante title-track del successivo lavoro “Trying to kiss the sun” (2002); da “World through my eyes” (2005) abbiamo la lunga “Sleep”, probabilmente l’episodio più prossimo ad un certo prog-metal (o ai più recenti Porcupine Tree), e l’obbligatoria “Roses”, con coinvolgimento vocale del pubblico che li richiama infine a gran voce per l’encore di “Unchain the Earth”, dinamico estratto dal loro concept album “Beyond man and time” (2012). A mio avviso l’ascolto dell’album può essere un’ottima introduzione alla musica degli RPWL, pur se sbilanciato verso la produzione più recente, mentre l’aderenza all’originale nell’esecuzione dei nuovi brani potrebbe rendere ridondante parte del lavoro a chi già ne possiede la registrazione in studio.
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