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Che gli RPWL fossero cresciuti a pane e Pink Floyd è ben risaputo. Prendendo spunto da “The dark side of the Moon”, “Wish you were here” e “The division bell”, l’ensemble tedesco ha costruito una discografia incentrata su immediatezza, melodia e suggestioni atmosferiche. Un po’ poco per tenerli in debita considerazione in un panorama molto ricco come quello del progressive rock. Certo, vista la semplicità della loro proposta hanno comunque raccolto proseliti, ma non si può certo dire che stiamo parlando di un gruppo che ha fatto dell’originalità il suo punto di forza. Eppure sorprende un po’ questa nova uscita, contenente un cd e un DVD, registrata dal vivo e con la quale omaggiano un periodo particolare dei loro idoli. Infatti, il quintetto ha deciso di puntare su una proposta floydiana dell’immediato post Barrett, periodo fatto di intensa attività live, di sperimentazioni e di psichedelia. “The man” e “The journey” erano due specie di suite proposte in concerto nel 1969 e che raccoglievano una serie di composizioni, alcune già pubblicate, altre all’epoca inedite. Solo di recente, con la pubblicazione del meraviglioso cofanetto “The early years”, abbiamo potuto ascoltare ufficialmente una registrazione dell’esecuzione di queste suite da parte dei Pink Floyd, mentre prima ci si doveva accontentare dei bootleg in circolazione. Alla fine è abbastanza netto il distacco della proposta rispetto agli anni ’70 da cui gli RPWL avevano finora preso ampiamente spunto. Il concerto degli RPWL qui testimoniato risale ad una performance tenuta il 13 febbraio 2016 a Helmond in Olanda. La band segue scrupolosamente le sequenze su cui puntavano i Pink Floyd. Entrambe le suite trasmettono una certa inquietudine. Si parte con “The man”, che presenta quel pizzico di teatralità in più. Aperta da suoni della natura, descrive le ventiquattro ore di un uomo comune dal risveglio, “Daybreak”, che altro non è che la ballata “Grantchester Meadows”, all’incubo che si ha dopo il sonno finale (“Nightmare” / “Cymbaline”), con il cerchio che si conclude con il nuovo risveglio (“Daybreak II”) accompagnato nuovamente da cinguettii e altro. All’interno della giornata c’è il momento del lavoro (“Work”), descritto in musica percuotendo gli strumenti, creando bizzarri ritmi ed utilizzando sul palco anche martello e trapano. Il riposo pomeridiano (“Afternoon”), scandito dal blues-rock sonnolento di “Biding my time” e altre stranezze prima della conclusione, con tanto di respiri e di ticchettio ossessivo di una sveglia prima di addormentarsi. ”The journey” è un viaggio più allucinante, in una sorta di dimensione onirica. Anch’esso aperto da una ballata, “The beginning”, ovvero “Green is the colour”, prosegue con la tensione palpabile di “Beset by creatures of the deep” (“Careful with that axe, Eugene”) e va avanti a strappi, tra momenti di calma apparente (“The narrow way”), visioni sonore pulsanti (“The pink jungle” / “Pow R. Toc H.”), momenti strumentali ipnotici (“The labyrinth of auximines” e “Behold the temple of light”) conditi da effetti sonori di passi e porte sbattute, fino alla conclusione maestosa affidata a “The end of the beginning”, cioè la parte finale di “A saucerful of secrets” (nota anche come “Celestial voices”). Alla fine, colpisce sicuramente la bella esecuzione, molto fedele all’originale, da parte degli RPWL, che sono molto convincenti nel riproporre, con suoni puliti ed il giusto pathos, quella magia emanata dai Pink Floyd quasi mezzo secolo fa. Più che un improbabile confronto con quanto fatto dai Pink Floyd all’epoca, tuttavia, metterei a paragone questo disco con gli altri degli RPWL. Siamo sicuramente di fronte ad una stravaganza, ad uno “sfizio” che i tedeschi si sono voluti togliere e hanno voluto condividere. Una scelta anche anacronistica? Forse, ma ad essere sincero è stato di gran lunga maggiore il piacere di ascoltare e guardare questo emozionante documento che non quello avuto con i precedenti lavori, che tutt’oggi ritengo abbastanza insoddisfacenti.
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