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Un ottimo esempio di prog maturo, senza eccessivi concessioni, quest'esordio degli inglesi Landmarq. D'altronde questo gruppo non è formato da novellini, basti pensare a Steve Leigh, che è in circolazione da una decina d'anni (Chemical Alice, Tamarisk, Quasar le sue precedenti esperienze) ma al suo primo album ufficiale, o a Dave Wagstaffe, ex batterista dei Quasar nonché fortunatissimo marito di Tracy Hitchings. Tra i produttori e i guest-musicians figura tutto il gruppo degli Shadowland, il solito Clive Nolan in testa. L'album alterna momenti leggeri, mai banali però, come l'iniziale "Killing fields", lo strumentale "April first" o la breve "Freefall", a brani più lunghi e compositi. Tra questi ultimi sono sicuramente da segnalare "Forever young", in cui si mette particolarmente in mostra la bella voce di Damian Wilson, che da poco ha rimpiazzato il primitivo cantante, e la "Suite St. Helenes", autentico pezzo forte dell'album. Di quest'ultima avevamo avuto un assaggio nella compilation di SI Magazine, ma adesso possiamo gustarcela nel suo intero sviluppo in cui, dopo un inizio quasi maestoso, si ha una fase centrale molto più lirica, direi quasi soffusa, che chiude in un crescendo che riprende il tema iniziale. "Terracotta army" ricorda molto i migliori Queen ("Innuendo"), dato il suo incedere maestoso (non posso evitare la ripetizione), mentre "Tippi Hedren" è un altro pezzo di lungo minutaggio e di buon livello. La conclusiva "Borders" è l'episodio più banale dell'album: saltatela senza rimpianti. Concludendo: ottima chitarra, grandiose tastiere, sezione ritmica precisa, buon cantante… cosa manca? Tutto è molto preciso e pulito, ma manca il quid in più, manca il lampo di genio che può fare di un buon album un ottimo album.
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