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Avete presente quella sensazione di stupidità che si presenta quando si solleva un contenitore vuoto, credendolo pieno? Si mette, nel gesto, più forza di quanta sia necessaria e poi con un sorrisino ebete, si pensa che ci si poteva riflettere anche prima. Ebbene per questo CD l’effetto è lo stesso. Steve Howe propone questi 15 brani strumentali che sanno di insipido e di poco inutile. Preso dallo scaffale del negozio l’attesa si era fatta alta: sarà stato il titolo o la copertina, magari solo il titolo del nono brano, in sapore Hackettiano. Sarà stato anche il Line-up con Tony prezzemolo Levin e i figli d’arte Wakeman, Howe e Howe. Nei singoli brani ritroviamo ogni genere musicale possibile: jazz, blues, brasiliana, dance, pop, western, country, spanish, rock. Quello che risulta assolutamente carente è il prog. Qualche cosa ad inizio di un paio di brani, qualche solo carino, ma datemi il lanternino per cercare qualcosa di più. Non ritengo valga la pena soffermarsi nel dettaglio di un brano piuttosto che un altro. Pur scorrazzando in tutti i possibili generi, l’album è molto omogeneo e ascoltando in modo randomico qui e là, non si avverte quasi differenza. La chitarra di Howe è protagonista a tratti persino petulante, come in “Labyrinth” o in “Raga of our time”. Seppur lievemente si elevano dal gruppo “Realm Thirteen”, “Livelihood” e la conclusiva “Free rein”.
Complessivamente un’ora di ascolto dove solo a tratti si raggiunge una sufficienza stiracchiata. Disco destinato solo ai veri amanti, non del genere, ma di Howe, personalmente.
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