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1989: la “rinascita” del Prog negli anni Novanta doveva ancora venire, anche se in nuce già alcuni segni di risveglio percorrevano la vecchia Europa. Le riviste musicali escono con una news che fa sobbalzare tutti gli appassionati del nostro genere: gli Yes, quelli storici, quelli degli anni Settanta, di “Close to the Edge”, hanno deciso di rimettersi insieme e stanno per pubblicare un album. Per coloro che ormai avevano dato per persa questa storica band, sfiduciati dall’insignificante “Big Generator”, sembrava quasi un miracolo, soprattutto leggendo le prime dichiarazioni di Jon Anderson stesso che esprimeva il suo desiderio di ritornare alla musica che un tempo facevano tutti e quattro. Di lì a pochi mesi l’album esce ed è un successo mondiale: i videoclip tratti dai singoli passano in continuazione in TV e l’opera ha sì un appeal commerciale ma riprende anche molta della magia degli storici Yes. Il rammarico della mancata presenza di Squire comporta soprattutto il fatto che i nostri non potranno chiamarsi “Yes” ma musicalmente la cosa è compensata dalla presenza di Tony Levin; manca però quel suono di basso che ha sempre caratterizzato il vecchio gruppo e in più il costante utilizzo, per tutta la lunghezza dell’album, della batteria elettronica da parte di Bruford fa sì che il risultato sia molto calato nell’epoca in cui è uscito e che in effetti non si possa parlare di un album “classico” degli Yes. Sono però presenti tutta quella complessità, quella delicatezza di suoni, il falsetto naturale di Jon Anderson… e persino l’artwork fantastico di Roger Dean che addirittura sforna per l’occasione uno dei suoi migliori lavori. Come ho detto il disco ebbe un grande successo e ne furono tratti, da un album che in teoria non ne contiene neanche uno, ben tre singoli (“Brother of Mine”, “The order of the Universe” e “Quartet: I’m Alive”) e a tale scopo furono prese delle parti di suite o degli edit di canzoni molto più lunghe. Proprio il primo singolo estratto, “Brother of Mine”, ovviamente nella sua versione estesa, potrebbe essere indicato addirittura come il pezzo più bello di quest’album, quello più Yes style e anche il più ricco negli arrangiamenti e nella partitura musicale. Anche se in una veste un po’ strana ed inedita i nostri quattro sembrano in un vero stato di grazia: pur utilizzando sonorità moderne e scintillanti, con poche concessioni alla nostalgia, l’album mantiene tutt’ora un suo valore che lo colloca in un posto tutto particolare nella storia della galassia Yes e del Prog in generale… e proprio alla luce di questa considerazione, ancora oggi come all’epoca in cui uscì, non riesco a dare un senso ad una canzone come “Teakbois”, incistata in mezzo all’album a deturparne le sembianza quasi perfette. Il disco è molto lungo e all’epoca venne fatta la scelta, discutibile quanto volete, di accorciare un po’ alcuni pezzi nella versione in vinile mantenendo il formato esteso nel CD e nelle audiocassette. In questa ristampa, oltre all’album nella sua versione estesa, è presente un bonus CD con i vari edit esistenti dei brani ed il B side “Vultures in the City”. Fra i bonus sono presenti anche le versioni live di “Brother of Mine”, “And You And I”, e “Order of the Universe”, tratte dal successivo tour mondiale, e una introduzione parlata di Rick Wakeman. Questa ristampa, corredata da una bella confezione cartonata, è disponibile in vendita solo attraverso il sito web dell’etichetta che la ha curata. Forse, guardando quest’album in retrospettiva, si potrebbe essere portati a pensare che il suo successo abbia in qualche modo dato un impulso alla rinascita del Prog che verrà di lì a poco, anche se è difficile in effetti stabilire il peso preciso del suo impatto. Per quanto riguarda gli Yes invece, nell’ambito dei mille colpi di scena che hanno caratterizzato la storia di questi musicisti, due anni dopo arriverà la riunione dei due tronconi venutisi a formare con la conseguente pubblicazione dell’album “Union”… ma questa ovviamente è un’altra storia.
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