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Immaginiamo un punto dello spazio ove convergano tutte le conoscenze e tutto il sapere del nostro universo. Cosa troveremmo? Il caos o l’ordine? Troveremmo una situazione in grado di dimostrare la capacità dell’uomo di dominare la natura e porre le sequenze in sistemi ordinati o troveremmo l’opposta incapacità? No, non è che io abbia la risposta o che la pretenda da qualcuno, è che tentare di fare ordine nella propria mente, partendo da un discorso volutamente disordinato, suppongo sia un compito arduo. E immagino che questa difficoltà possa ingigantirsi quando si tratti di reinterpretare un pensiero artistico. Insomma vedo lo sforzo di Beppe Crovella (Arti & Mestieri, ovviamente) nel voler farsi interprete delle musiche di Mike Ratledge (Soft Machine, ovviamente) uno sforzo veramente immane. Ad aggravare la situazione è il fatto che sia subentrata la mente di un altro grande cultore della materia musicale trattata, Leonardo Pavkovic, patron della MoonJune, ma anche ideatore del concept discografico, oltre che grande appassionato della scena progressiva italiana. Tre teste, quindi, tre grandi teste progressive che ruotano attorno a quel punto ideale dell’incipit recensorio.
Il disco è strano, particolare, complesso e unisce tutte queste caratteristiche in una fascinazione coinvolgente. Le musiche di Ratledge sono sublimi a prescindere, sono dei pilastri del genere, sono strutture monumentali varie, eppure riconoscibili nelle loro caratteristiche politonali, poliritmiche, estrose così dannatamente evocative e personali.
Il lavoro di Crovella come può essere sintetizzato? Cover? Retrospettiva? Tributo? Forse tutto questo, ma più semplicemente e forse in maniera più umana e accorata, un dialogo, una sorta di lunga conversazione con l’autore, che parte da argomenti noti, per deviare, arrotolarsi, allungarsi ed evolversi in maniera prestigiosa, per finire a ricongiungersi con se stessa, in una serie di riflessi (riflessioni), che rimbalzano sulle migliaia di frammenti creati dall’esplosione del grande specchio narcisistico.
Beppe sceglie di utilizzare tastiere analogiche di grande effetto progressivo. Vale la pena riportare l’elenco completo, così da instillare la giusta preparazione all’ascolto: mellotron, Wurlitzer E200 electric piano, Fender Rhodes Stage 73 electric piano, Hammond Organ M102, Hohner electric piano, Hohner Clavinet D6, Rösler Grand Piano, Farfisa Professional e ci tiene a sottolineare che nessun tipo di sintetizzatore, neppure analogico, o di tastiera digitale sono usati oltre all’elenco suddetto. Il risultato sonoro è meraviglioso e impressionante, l’uso del mellotron, ad esempio, è così magistrale da risultare un perfetto compendio per chiunque voglia riferirsi a detto strumento.
Il concept si divide in tre parti: la prima “...Rattlin' all the time” raccoglie le composizioni di Ratledge: dieci brani, tratti da diversi album, ma accomunati dal loro potere affascinante e indisciplinato. L’approccio di Beppe è paragonabile all’andamento ondulatorio del flusso musicale stesso e si aggira tra gli spazi mentali e sensoriali in una valanga di su e giù, scanditi ora dagli accordi ricchi del mellotron, ora dal tintinnare dei tasti del piano elettrico, mostrandoci come su entrambe le facce della luna ci sia qualcosa di speciale di cui narrare e discorrere. “As If” e “Hibou, Anemone And Bear” sono una rappresentazione di questo stato di cose e avanzano inanellando un’incredibile serie di dissonanze su tappeti di magici accordi. Talvolta il jazz, quello più classico e pulito, traccia la linea maestra, brevi momenti che presentano un rotolare di note che non tarda a contorcersi su se stesso, degenerando in malattia lunare “Out-Bloody-Rageous”, “Slightly All The Time”, “All White” sono qui, pronte a dimostrarci tutto e il loro pieno contrario, in un discorso che avanza e si rende volutamente complesso, fatto di parole ricercate in un esercizio che ha un parallelo in Queneau: un piede nella logica e uno nell’arte di sublimare gli stati, senza necessariamente farci comprendere quello che sta nel mezzo. Le altre due parti del disco “… Before the moon” e “… After the moon” sono composte da brani di Crovella, ma sempre ispirati dalla musica di Ratledge. Capovolgendo il discorso il risultato non cambia. La ricchezza sonora è lampante e la traccia non ha soluzione di continuità. Altri sei brani decisi, che non fanno sconti di sorta e ci portano in un intrico, ramificato come radici di mangrovia. Provo ad immaginarmi questi stessi brani arrangiati per una band elettrica e un Chirico alla batteria … il sapore è quello delle grandi cose, quelle ispirate, che restano.
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