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L'atteso come-back degli Arti&Mestieri si rivela abbastanza lontano da molte operazioni del genere, spesso più di facciata che altro, oppure fatte per impolverare vecchi fasti gloriosi con nuove produzioni che puzzano di stantio il giorno stesso dell'uscita. Gli A&M si ripresentano con la stessa formazione che registrò i capolavori "Tilt" e "Giro di valzer", con l'aggiunta di Marco Cimino, che pur fece parte del gruppo ai tempi di "Quinto stato", ed altri musicisti nuovi apprezzati in Italia e all'estero (Corrado Trabuio al violino, Flavio Boltro alla trombra e Diego Borotti al sax, più il quartetto d'archi di Torino). Più di questa notazione anagrafica, il gruppo si ripresenta per dare naturale continuazione ai due capolavori sopra citati (a distanza di 25 anni), producendo un album in cui il jazz-rock è il naturale terreno su cui si muovono le 13 composizioni, ma esso è arricchito, per non dire impreziosito, dalla grande vena sinfonica e melodica che caratterizzava i suoi migliori lavori. Non solo questo: el disco sono presenti momenti di grande Prog acustico o excursus più direzionati verso il jazz elettrico, brani dalla ritmica intensa, struggenti parti di violino e bei riferimenti a musiche e ritmiche tipicamente mediterranee, nonché la riproposizione del classico "Gravità 9'81". Il cantato di Barbara Pastore, lungi dal voler essere considerate un cantato, hanno una funzione di strumento aggiuntivo, dei vocalizzi in pratica, certamente non invadenti e usati ben di proposito. L'album si fa ascoltare davvero volentieri; se può non reggere il confronto con quello che fu, di certo non sfigura al suo confronto e rappresenta un degnissimo motivo per rispolverare i vecchi dischi degli A&M per piazzarvici accanto questo nuovo album.
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