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Un doppio live, lungo e mai annoiante è quanto questo eterogeneo gruppo ha pensato di produrre in memoria del loro leader, András Sipos, amichevolmente chiamato Sipi, mancato nel 2007. Quattro ore di concerto benefico, registrato interamente e dal quale sono stati tratti questi 150 minuti di piroette, eseguite dalla band con ospiti decisamente illustri, tra i quali spiccano Steve Hackett, quale special guest e membri della Grand Magony Orchestra.
In totale una decina di musicisti si è alternata sul palco, per finire spesso ad essere tutti presenti, presentando un muro sonoro di invidiabile efficacia e precisione.
Musicalmente si tratta di folk jazz rock, dai molteplici aspetti etnici, mediterranei, caucasici, nord africani, mediorientali, sudamericani e latini e devo dire che raramente ho sentito delle qualità tecniche così mostruosamente alte e così pacatamente esibite, come in questo lavoro. Tutti i partecipanti sarebbero da citare per la loro fine, elegante e raffinata capacità di suonare senza la minima sbavatura e con cristallina purezza. Per tutta la durata del lavoro risultano apprezzabili ogni singola nota di pianoforte, ogni pizzicato della chitarra, ogni nota facente parte del fiume in piena che è il basso, ogni sfrigolio del charleston e ogni soffio dei fiati.
Particolare stravagante è l’inizio del concerto con sette minuti di assolo di percussioni a mano, registrate durante un concerto del 1999 ed eseguito dallo stesso András Sipos, proiettato sullo schermo e con audio mandato dai nastri originali.
E poi il concerto vero e proprio. Difficile narrare di tutte quelle che sono le impressioni di ascolto, senza fare una sorta di cronaca in diretta. Ma sarebbe tedioso per il lettore sorbirsi uno sproloquio aggettivale, inutile e ridondante di complimenti.
Voglio comunque riassumere parlando del fluido Jazz orchestrale in stile zappiano un po’ alla “Waka Yawaka”, dei momenti più mediterranei dall’incidere sommesso e impreziositi da un violino ricco e raffinato, le cui urla fanno decisamente rabbrividire, stesse sensazioni provate all’ascolto dell’assolo di flauto che riempie tutto il finale di “Reproach”, o nei fenomenali duetti sax/tromba, piano/violino, basso/sax, con soluzioni di unisono particolari quanto affascinanti, come in “Omachulè”, impressionante il suo incedere di jazz rock latino, con un finale tecnicissimo e con il bassista in pieno e furibondo lustro. Di tanto in tanto sullo schermo appaiono le immagini di Sipi, e sui nastri originali, la band interagisce utilizzando le percussioni dell’ex leader come metronomo su cui giocare e giostrare, come in “Street scene of Hajdúböszörmény”.
In quanto ad Hackett, la sua partecipazione alle performance della band risale a al 2004, in concomitanza con il concerto londinese dei Djabe e si riferisce al brano elettroacustico “Thiérachei emlék”, suadente mistura di jazz e di fusion sinfonica e al successivo “Acoustic Medley”, dove suona, tutto solo, brani suoi e dei Genesis.
La chiusura del lavoro è affidata a due lunghe suite: in bilico tra rock più hard acido e jazz etnico, con qualche rimando a band inglesi tipo Jethro Tull o Marsupilami, la prima “Distant Dance” e con una grande linea evolutiva, dal pacato e quasi lounge inizio fino al furibondo e maestoso finale, la seconda “Behind The Veil”.
Un lavoro estremamente divertente e accattivante, sicuramente consigliato, grazie alla varietà sonora, anche a chi solitamente rifiuta il jazz.
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