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Diventa difficile seguire con attenzione tutta la musica che negli ultimi anni vede protagonista Steve Hackett. Tra dischi in studio, dal vivo, ristampe, progetti, collaborazioni e partecipazioni a lavori di altri colleghi c’è davvero da chiedersi dove trova il tempo e l’ispirazione lo storico chitarrista britannico. A soli due anni di distanza da “Wolflight” ecco il nuovo album elettrico che ci mostra uno Steve sempre in forma, pimpante e capace di sfornare tanta musica mantenendo livelli qualitativi abbastanza alti. Certo, più passa il tempo e più sappiamo cosa aspettarci da questo prolifico artista, che continua ad avere voglia di sperimentare con contaminazioni di tutti i tipi. Ed è qui che “The night siren” mostra, al contempo, pregi e difetti. Diciamo subito che le cose migliori sono proprio quelle proposte dalla chitarra: temi, assoli, timbri, effetti, esecuzioni tecniche. Il problema è che poi attorno al suo strumento Steve sembra volere strafare, con sovrarrangiamenti, miscele di suoni molto differenti tra loro, alternanza di melodie dirette ed altre più bizzarre e il tentativo di coniugare più stili anche all’interno di uno stesso brano. Certe caratteristiche sarebbero cose positive se usate con parsimonia, ma alla lunga questi esperimenti di Hackett possono portare anche un po’ di confusione nell’ascoltatore. Il disco resta comunque molto piacevole da ascoltare e non si può negare che tutto si può criticare al chitarrista, ma non lo si può certo accusare di un calo di ispirazione. Ce ne fossero di suoi coetanei che mostrano la sua voglia! In “The night siren” proprio questo suo costante desiderio di sperimentare attraverso l’inserimento di strumenti stravaganti ed etnici porta spesso a farlo avvicinare ad una sorta di world music “totale”, che permette di accostare al progressive rock tradizioni mediorientali, folk, suggestioni mitteleuropee, calore mediterraneo e tanto altro ancora; cosa indubbiamente attraente in vari frangenti, ma un po’ stancante alla lunga per i motivi sovraesposti. Alcune composizioni sono davvero molto belle e contengono momenti spettacolari, a partire dall’opener “Behind the smoke”, con quella sua apertura acustica seguita da melodie alle quali Hackett ci ha abituato con i suoi ultimi dischi, con le sue esplosioni ed il suo incedere epico e, soprattutto, con lunghi momenti strumentali incredibilmente coinvolgenti, nei quali il nostro dà il meglio di sé. Altre composizioni che meritano una menzione sono la strumentale “El Niño”, “In the skeleton gallery” e “West to East” e la conclusiva “The gift”, che con il loro incedere altisonante possono riportare alla mente alcune della pagine più riuscite dei primi anni di carriera solista di Hackett. Ad ogni modo, in tutto l’album colpisce particolarmente la naturalezza con cui vengono proposti guitar-solos ai quali dovremmo essere abituati e che invece regalano ancora parecchie emozioni. Da segnalare anche la bella edizione in confezione digipak, col solito libretto ricco di fotografie e che prima dei testi ci sono le note introduttive dello stesso Steve, che illustra i contenuti delle canzoni. Lo ribadiamo, siamo di fronte ad un bel prodotto, anche se possono essere visti leggeri elementi di confusione. E ribadiamo anche che se ci sono tante nuove leve e belle speranze del prog attuale da supportare, Steve Hackett è sicuramente uno di quei “vecchi marpioni” che dimostra di avere ancora qualcosa da dire.
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