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La sigla DBA è l'abbreviazione di "Downes Braide Association", progetto che vede due influenti protagonisti della scena pop-rock mettere assieme i propri distinti e variegati talenti per creare un album destinato ad un ascolto non impegnativo, dai connotati moderni, tanto levigato quanto intelligentemente assemblato. Il background dei due personaggi è onestamente molto diverso; se infatti entrambi possono essere definiti mostri sacri della produzione discografica, sono i nomi degli artisti loro associati a distanziare i curriculum: tutti conosciamo Geoff Downes, partner di Trevor Horn in quei Buggles confluiti in seguito nella formazione degli Yes di Drama; fondatore, tastierista e songwriter negli Asia, di cui ha tirato le fila smantellando formazioni e rifondando infine il quartetto originale, per riapprodare - ed è storia recente - nel gruppo di Squire, Howe & co. Parlare di Chris Braide, invece, significa citare il deus ex machina che si cela dietro molti successi di Christina Aguilera, Lana del Rey e David Guetta, e capirete che nel suo caso siamo lontani anni luce dal prog e sui derivati; si dà il caso però che il giovane Braide sia anche un dotato vocalist e polistrumentista, per cui la partnership con Downes sembra essere il veicolo ideale per dar sfogo ad ambizioni se non solistiche, almeno capaci di portarlo alla ribalta in prima persona. Le due personalità a dire il vero si fondono assieme che è una meraviglia: trovato un terreno comune in un pop-rock melodico, radiofonico (sorpresi?) ma quasi mai sfociante in pacchiani eccessi sfacciatamente commerciali, i DBA ci propongono otto canzoni di durata media ed una mini-suite in apertura, "Sunday news suite", appunto, divisa in quattro movimenti. Sono i synth ed il piano a dominare la scena, con ritmiche piuttosto squadrate (e spesso elettroniche), una voce formalmente ineccepibile, potenzialmente piena di soul, ma troppo spesso "vittima" dell'autotune e resa un po' sintetica dalla produzione, come il resto degli strumenti d'altronde. Siamo dunque prossimi ad una riproposizione in chiave moderna di stilemi tipicamente anni '80 (echi dei Buggles e degli Asia più easy), sia pur filtrati dalla grande esperienza accumulata dai protagonisti, che lo privano delle ingenuità del periodo e ne fanno un prodotto maturo, un "pop orchestrale" con una sua precisa dignità artistica. Le linee vocali risultano molto ben congegnate, anche se spesso assumono toni un po' retrò e nostalgici, finendo spesso per innescare paragoni con altre formazioni odierne che si richiamano all'Epoca della plastica, come i Keane, similitudine rafforzata dal predominio del piano e dei sintetizzatori sulle chitarre. Per sintetizzare, si tratta di un album che sarà apprezzato da chi si consideri aperto a riconoscere le qualità di un easy-listening di classe; chi al contrario ritenga anche gli Asia troppo disimpegnati, potrà passare avanti senza rimpianti.
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