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Inseriti all’interno della grande moltitudine dei discepoli del Re Cremisi, gli Herd Of Instinct si erano fatti notare con un album di debutto, omonimo, uscito nel 2011, che ha avuto una discreta e meritata risonanza nel giro del progressive rock d’oltreoceano grazie anche al supporto di musicisti del calibro Pat Mastelotto, Jerry Marotta e Gavin Harrison: prima produzione anche per la giovane label Firepool Records fondata dal Djam Karet Gayle Ellett, il primo cd degli Herd Of Instinct era un lavoro di buon livello, a tratti sorprendente nella capacità di rinvigorire un certo tipo di sonorità già pienamente approfondite dai tanti validi seguaci crimsoniani sparsi tra i quattro angoli della Terra. Il ritorno degli Herd Of Instinct con questo “Conjure” ha così il sapore della conferma, reso ancora più appetibile dall’inserimento in pianta stabile di Gayle Ellett come tastierista; anche in questo caso non mancano interessanti interventi di musicisti esterni al gruppo, tra i quali è rilevante la presenza del bassista dei Porcupine Tree, Colin Edwin, in due brani. Diversamente dall’esordio, “Conjure” è interamente strumentale ed è privo degli sporadici e suggestivi accenti “avant pop” caratterizzati dalla buona performance vocale di Kris Swenson: l’impatto sonoro e le traiettorie musicali rimangono comunque pressoché le stesse... Ascoltando i dodici brani di quest’album si ha l’impressione che la cifra stilistica sia distribuita in due parti abbastanza distinte, ovvero i brani che più si legano alla tradizione, se così possiamo definirla, degli ultimi King Crimson, talvolta in maniera forse un po’ troppo prevedibile, ed altri pezzi in cui il discorso musicale si allarga verso una sorta di etno-jazz prog rock dai suoni cupi e decadenti, non distante da certe atmosfere del Mick Karn solista o di David Torn, ed anche dal Trey Gunn più sperimentale; significativamente in due brani sono introdotti dei samplers dal repertorio di Steve Tibbetts. Ci sono anche alcuni ammiccamenti abbastanza efficaci verso il progressive scandinavo più tenebroso, Anekdoten e Änglagård, in cui vengono messe in risaltano le trame gotiche ed orrorifiche del mellotron di Allet. Ovviamente un ruolo di primaria importanza viene svolto dalle chitarre di Mike Davison e Mark Cook (quest’ultimo impegnato alla Warr Guitar), attraverso un dialogo serrato di assoli ruvidi e lunatici, alternati a raffinati fraseggi liquidi e dilatazioni psichedeliche che trovano forse la loro massima espressione nel brano di chiusura del disco “The Secret Of Fire” uno dei pezzi che più risente dell’esperienza di Gayle Ellett con i Djam Karet, oppure nel crepuscolare ambient jazz di “Alice Krige pt. 1”. “Conjure” suona dunque come un lavoro discretamente organico e ben concepito, anche se non manca qualche lieve passaggio a vuoto in alcuni passaggi un pochino stereotipati, in effetti i brani che più funzionano sono proprio quelli dove gli Herd Of Instinct spingono sulla contaminazione e verso l’espressività più sperimentale dell’etno-ambient. Nel suo complesso “Conjure” è un buon disco di progressive rock moderno, il prodotto di un gruppo che possiede le qualità ed il talento per andare ben oltre i propri limiti più o meno emulativi...
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