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Tra i vari progetti legati al mondo dei Djam Karet, uno dei più interessanti e stravaganti è sicuramente quello dei Fernwood. Si tratta di un duo formato da Gayle Ellett e Todd Montgomery ed è prevalentemente destinato ad un esplorazione sonora acustica, con chitarre in bella evidenza, ma con l’utilizzo di numerosi strumenti anche esotici, dal bouzouki al sitar, passando per la dilruba, il charango, la tanpura, il banjo, il mandolino, l’ukulele, ecc. “Arcadia” è il terzo album a nome Fernwood e non fa che confermare quanto di buono si era già detto dei precedenti lavori. Contiene undici brani deliziosi e finemente arrangiati, che con intriganti melodie e suoni ricchi di fascino si spingono in varie direzioni, da una solare e sorprendente aria di Mediterraneo alla sognante West Coast, dalla world music alla new-age, dal folk a tentazioni jazz. I quarantadue minuti e mezzo del cd scorrono con grande rilassatezza e regalano non poche emozioni grazie ai percorsi sonori intrapresi con estrema abilità la coppia Ellett-Montgomery. “Bells Spring” apre il disco con melodie ariose guidate dagli strumenti a corda e trasmette una grande serenità e può essere vista come una delle tracce che meglio rappresenta lo spirito del progetto. Ci sono brani che poi possono maggiormente entrare nelle grazie di chi ama le prove acustiche di Anthony Phillips, come “The pan chaser”, “Vision at Vasquesz Rocks” e “Owens hideway”. Fondamentalmente, però, è la contaminazione di stili diversi che mette bene in mostra le capacità dei Fernwood, sia a livello di composizione, sia a livello di coinvolgimento, attraverso una musica talmente evocativa da poter essere anche inquadrata come colonna sonora di un film immaginario. Qualche sporadico intervento di Moog, di Mellotron e di chitarre elettriche rende le cose un po’ più vivaci di tanto in tanto con armonizzazioni di grande classe (particolarmente intrigante risulta “The lost night”), ma fondamentalmente ci si mantiene sempre su sonorità carezzevoli e un po’ languide, che mantengono un certo fascino per l’intera durata dell’album. Una durata maggiore forse avrebbe creato, alla lunga, un po’ di stanca, quindi un plauso va anche all’accortezza che il duo ha mostrato nel mostrarsi conciso al punto giusto evitando inutilità prolissità. Concludiamo con una nota tecnica, indicando che i Fernwood hanno scelto di registrare “Arcadia” senza alcuna compressione e senza l’utilizzo di computer, al fine di mantenere quanto più possibile dinamico il suono.
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