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TUSMØRKE |
Underjordisk Tusmørke |
Termo Records |
2012 |
NOR |
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Nome apparentemente nuovo nel mondo del prog, che significa “crepuscolo”, per una band che in realtà, nonostante la sua posizione di esordiente a livello discografico, rappresenta l’ennesima reincarnazione di una entità che vedeva la luce nel 1994 e che per un certo periodo di tempo si chiamava con l’appellativo altrettanto tenebroso e poetico di Les Fleurs Du Mal. Questi amici condividevano agli inizi una vita in comune in una casa occupata nella cittadina di Skien, tappezzata di poster, luogo ideale per bere, fumare e ovviamente suonare. Lo spirito delle origini era molto psichedelico e sicuramente ribelle ma all’istinto si è col tempo affiancata la ragione che ha reso possibile la creazione di un gruppo maturo che riesce comunque a mantenere intatta l’esuberanza primigenia. Il nucleo fondatore, composto dai fratelli gemelli Benediktator (voce, basso, chitarra e percussioni) e Krizla (voce, flauto e percussioni) si affianca ora a Hlewagastir (batteria) e Deadly Nightshade (Rhodes, Piano Elka, Spinetta Lindholm e Mellotron M400) con un rinforzo tastieristico a cura di una nostra vecchia conoscenza e cioè Lars Fredrik Frøislie che, con il suo vistoso a guarnito arsenale, ha plasmato il sound dei più noti Wobbler e dei White Willow. Sicuramente questo ultimo nome avrà subito ravvivato la vostra attenzione e se a questo punto iniziate a fremere di curiosità avete proprio ragione perché questo album trabocca di suoni vintage e di pregiate stratificazioni tastieristiche. Attenzione però, il clima generale è festoso, se non addirittura goliardico in certi frangenti, come se tutte le creature dei freddi sottoboschi norvegesi si fossero impossessate di strumenti e spartiti portando tanto scompiglio. Vi è infatti un festoso substrato folk che, con le sue ripetizioni, la sua magia oscura e talvolta grottesca, potrebbe ricordare gruppi come i Fruitcake o addirittura gli Høst, se vogliamo scavare un po’ di più nella storia della Norvegia. La componente psichedelica è ben in evidenza, giusto per aggiungere fumi e colori a una formula già di suo decisamente coinvolgente e la sua parte la trova anche una solida impostazione hard rock blues che fa rotolare le canzoni come allegri macigni giù per i fiordi. Il tutto viene adeguatamente levigato e lucidato attraverso un sound smagliante al quale il nostro Frøislie ha sicuramente fornito un contributo importante. Questa formula vintage, che non facciamo fatica a collocare ai giorni nostri ma che brilla di luce riflessa del passato, ci fa pensare a gruppi come Gargamel o anche agli stessi Wobbler, anche se qui è tutto più leggero, frizzante e scapigliato. Trovo difficile non lasciarsi prendere dai ritornelli ripetitivi e dalle filastrocche di “Fimbul”, la traccia di apertura, una allegra cavalcata con qualche reminiscenza Tulliana. Già con la successiva “Watching the Moon Sail Out of the East” troviamo però momenti poetici e lunari in cui fanno capolino persino i Gong, ma in un contesto decisamente nordico. “The Quintessence of Elements” è una strana marcia contrappuntata da uno splendido Hammond che sembra aprire strane danze nei boschi. Il cantato è, da parte sua, tutto su tonalità basse, quasi cantilenato e appare molto personale e adatto alla proposta musicale. Nella divertente “A Young Man & his Woman” sembra quasi scandire formule magiche su ritmi veloci e buffi e in “A Nightmare’s Just a Dream” si fa ipnotico e persuasivo. L’album vero e proprio si chiude con la sesta traccia, “Høstjevndøgn”, l’unica in norvegese, che recupera tonalità cupe e tenebrose, quasi liturgiche per certi aspetti, frammiste a suggestioni folk pagane, con un bel guizzo finale in accelerazione; ma il disco non finisce qui perché ci sono ancora 27 minuti di materiale bonus contenente inediti dei “Les Fleurs Du Mal”. Si tratta di tre tracce, l’ultima delle quali, “Ode on Dawn”, decisamente lunga con i suoi 17 minuti, è stata registrata nel 1998. In questo caso non ci sono più suoni smaltati e smussati, anche se lo spirito dei Tusmørke emerge, in una versione embrionale, in modo piuttosto evidente e la qualità audio è accettabile ma a livello di demo-tape. Discorso un po’ diverso per gli altri due pezzi, “Solomonsens Hage” e “Singers Swallows”, che sono state registrate assieme al resto dell’album e che con esso mostrano una più marcata continuità. Diciamo pure che non è stato solo un vezzo includere questo materiale che, seppure un poco al di sotto dell’album ufficiale, appare decisamente interessante e godibile. La grinta, la spiritosaggine e l’apparente spensieratezza di questo lavoro lo rendono ancora più appetibile… forse anche di più rispetto ad album anticati e retrò ma più seriosi. Certamente a suoni belli, spartiti dinamici e arrangiamenti ben strutturati, si affianca una piacevole vena di divertimento, a volte scanzonato, a volte incupito da atmosfere crepuscolari e sotterranee, che farà il piacere di molti, ne sono certa.
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Jessica Attene
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