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TUSMØRKE |
Dawn of Oberon |
Karisma Records |
2024 |
NOR |
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Con questo nuovo album la band dei fratelli Momrak (Benedikt al basso, alla chitarra, ai synth e alla voce e Kristoffer al flauto, alla voce e ai synth) sale a quota 12 nell’arco di 12 anni. Considerando che il debutto, “Underjordisk Tusmørke”, uscì nel 2012 i Tusmørke ironizzano su questa coincidenza numerica spiegando che è stato raddoppiato il numero magico 666. Cosa ci aspetterà quindi in questo nuovo viaggio? Ho i brividi solo a immaginarlo… Il titolo, che ricorda il re delle fate celebrato da Shakespeare in “Sogno di una notte di mezza estate”, simboleggia in un certo senso l’eterna fanciullezza di questi musicisti che col passare degli anni non perdono la loro voglia di scherzare e la loro carica giovanile continuando a sfoggiare composizioni grezze e travolgenti, cariche di vigore e fantasia. Gli pseudonimi sono l’esemplificazione di questa goliardia ed il gruppo vorrebbe persino farci credere che il tastierista è cambiato passando da Haugebonden Gode Gullstein a Herjekongen. In realtà, leggendo l’elenco completo della sua strumentazione (Grand Piano Steinway & Sons, Grand Piano Flyvel, Electric Organ Korg CX-3, Mellotron Mellotron M4000D, Synthesizer Minimoog Model D, Electric Piano Yamaha P-515), tutti i sospetti cadono ancora su Lars Fredrik Frøislie. Invece lo pseudonimo del batterista, Kusken, appartiene effettivamente a una persona diversa da HlewagastiR (o meglio Martin Nordrum Kneppen) e più precisamente a Filip Ramberg. La nascita di questo nuovo album ha avuto un iter tumultuoso che partiva dal 2022, epoca in cui Kusken stava entrando in simbiosi con la band, ed ha preso forma concerto dopo concerto e jam dopo jam, occasioni in cui pian piano emergevano i nuovi temi musicali. Purtroppo Kursken ha abbandonato i nuovi compagni dopo soli 8 mesi di attività ma questo album, registrato in sala prove e in studio fra il 2022 ed il 2023, testimonia perfettamente il tempo passato insieme. Da questi presupposti ci rendiamo già conto di come questo “Dawn of Oberon” sia grezzo e spontaneo e di come conservi un approccio molto live oriented, istintivo e graffiante. Gli ingredienti del sound nordico tipici dei Tusmørke sopravvivono splendidamente ed il risultato è assolutamente godibile e divertente. Una lunga traccia di apertura (la title track), quasi 18 minuti in totale, ci fa subito capire che, oltre quella patina di goliardia che ormai tutti ben conosciamo, ci sono musicisti seri e molto motivati che ci tengono ad offrire al loro pubblico qualcosa di importante e di ben strutturato. Grazie ad un fitto sottobosco di tastiere veniamo subito introdotti in un ambiente musicale crepuscolare ed ovattato, le cadenze folk imprimono un andamento talvolta gioioso, con somiglianze verso i connazionali Fruitcake, ed il flauto, che pare quello di un satiro, ha un sapore inconfondibilmente Tulliano. Il cantato è sfocato e spesso confuso e grottesco ma adeguato alle atmosfere silvestri e oniriche del brano. I connotati sinfonici sono marcati e ovunque aleggiano densi fumi psichedelici. Il brano sembra andare progressivamente alla deriva in un’estasi di suoni e danze vorticose, in loop interminabili che si espandono progressivamente. In generale questo album è meno sanguigno rispetto al passato, vengono evitati contrasti estremi, suoni duri e scenari troppo gotici e tenebrosi. Mancano quasi i riff sostenuti di chitarra elettrica a favore di formi e colori da figli dei fiori sballati. “Midsommernatsdrøm” è particolarmente interessante per le sue cadenze jazzy guidate dall’organo Hammond che si fa strada in uno scenario allucinogeno e traballante. “People View” è insolitamente solare con movenze Genesisiane che ispirano addirittura sentimenti di ottimismo. In generale tutto il disco sembra un calderone in cui vengono riversati ingredienti dai sapori più disparati e non sempre in armonia fra loro ma il massimo grado di ecletticità viene forse raggiunto dalla sballatissima e conclusiva “Troll male”, un coacervo di situazioni buffe con ritornelli strampalati e festaioli, impasti tastieristici con incursioni soft fusion, momenti sinfonici persino elegiaci il tutto confezionato con le solite modalità rustiche e spontanee tipiche del gruppo. La durata complessiva di queste sei tracce è di circa 43 minuti, quella cioè di un vinile di ottima qualità e anche questo ha il suo significato per un balzo verso un passato che non esiste ma che viene emulato con creatività, irriverenza e sfacciataggine, in un modo tale insomma che è quasi impossibile non divertirsi.
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Jessica Attene
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