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TUSMØRKE |
Fjernsyn i farver |
Karisma Records |
2018 |
NOR |
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Bel disco! E potrei fermarmi qui, se non fosse che ho deciso l'acquisto dopo un unico ascolto online con lo scopo preciso di scrivere una recensione. Per essere sinceri, sono rimasto inizialmente incuriosito dai commenti negativi, anche pesanti, riguardanti “Fjernsyn i farver", e successivamente colpito da quanto invece a me il disco piacesse. Com'è possibile che un album possa provocare reazioni così contrastanti? Penso che la chiave sia tutta nelle aspettative che ci creiamo. Conoscevo poco i Tusmørke prima di affrontare l'ascolto di questo disco e di proposito ho evitato di fare paragoni coi vecchi lavori, eccetto che col precedente e troppo diverso "Bydyra", che ritengo nettamente inferiore (lo ammetto, trovo noiosi i cori di bambini di cui è infarcito). “Fjernsyn i farver" può essere in qualche modo spiazzante ma non contiene niente che non sia già stato sviscerato da altri artisti. Questo non significa che non sia originale. Per descriverlo in poche parole, potrei dire che è caotico, anche se comprende momenti sorprendentemente ben organizzati e arrangiati, è sporco, naif, e dà l'impressione di essere una sorta di sfogo musicale in totale libertà. L’apertura affidata al brano che dà il titolo all’album chiarisce immediatamente quali sono le intenzioni dei Tusmørke. L’attacco è nervoso e incalzante, la sezione ritmica come un treno in corsa i cui passeggeri sono un flauto ossessivo e la voce allucinata di Benediktator. Azzeccatissimi i suoni dei sintetizzatori suonati da The Phenomenon Marxo Solinas (il cui cognome d'arte è diffusissimo in Sardegna!), in massima parte di tipo analogico, ruvidi e grezzi. La tensione che permea il brano viene spezzata solo oltre la metà degli otto minuti di durata con un intermezzo in cui i suoni si ammorbidiscono mantenendo però un dolce sapore di follia psichedelica. A confronto, “Kniven i kurven" sembra privilegiare atmosfere più rilassate ma l’inizio affidato al flauto lascia presto il posto a nuove declamazioni vocali, ad una ritmica serrata e ad un ritornello guidato dal basso distorto (non è presente la chitarra in tutto il disco) e dai sintetizzatori all’unisono che donano la giusta carica acida al tutto, la quale a sua volta porta in dote alcune reminiscenze canterburiane. “Borgerlig tussmørke" è una breve ballata dai toni più acustici, pervasa da malinconiche atmosfere folk da filastrocca nordica e con un finale in crescendo. Le cose si complicano con “3001”, un complesso e bizzarro brano che inizia con caotici suoni di synth per divenire dopo un minuto abbondante un mix di prog-doom-metal caratterizzato dalla voce del flautista Krizla, decisamente atonale e aspra ma perfettamente in linea con una traccia che unisce suoni alla Black Sabbath a varie atmosfere dark-horror. Il percorso verso la follia continua con “Death czar” (unico brano cantato in inglese), che riesce nell’intento di fondere le atmosfere oscure con una ritmica pseudo latina e con tante altre cose, compresi certi passaggi che mi hanno ricordato addirittura gli Iron Maiden. La conclusiva “Tøyens hemmelighet” può ricordare i Jethro Tull, e nei suoi nove minuti di durata finisce per essere il brano meno vario dell’album, con i soli ultimi due minuti di follia a contrastare le atmosfere allegre precedenti. “Televisione a colori" è la traduzione del titolo ma, come spiegato nella confezione, la frase rimanda ad un discorso fatto da un politico norvegese durante una riunione in parlamento riguardante l’arrivo nel paese del diabolico marchingegno che stava per soppiantare il bianco e nero. La frase non è pienamente traducibile con il significato originale (dall’inglese, letteralmente: “Il peccato è giunto sulla terra ma non abbiamo bisogno di lei a colori"), e pare sia entrata nell’immaginario norvegese per motivi spiegati in maniera non troppo chiara, o che io forse non ho capito perché troppo preso dalla musica. Poco chiara, per quanto mi riguarda, è anche la foto interna rappresentante una ragazza dai riccioli biondi vestita solo di biancheria intima, legata ad un letto con nastri viola e una mela infilata in bocca. I testi nel libretto sono tradotti in inglese e parlano di viaggi negli abissi del cosmo, riti sacrificali, lugubri visioni del futuro, pratiche esoteriche basate sull’osservazione del comportamento degli uccelli e altre amenità varie. È abbastanza per capire quanto l’immaginario goliardico creato dai gemelli Momrak (Benediktator e Krizla) con questo album abbia raggiunto picchi notevoli. Fortunatamente, di norma non mi faccio impressionare da queste cose e tendo a privilegiare l’aspetto musicale. Ho scoperto invece che mi piace la musicalità della lingua norvegese, tanto che spesso mi sono ritrovato a canticchiare i ritornelli dei brani, inventandomi ovviamente parole inesistenti somiglianti alle originali. Insomma, questo disco mi diverte. Oltre al consueto ascolto seduto comodamente in poltrona, lo porto con me in macchina, lo metto in sottofondo lavorando al computer e lo ascolto in cuffia quando sto riposando. Mi piace la sua bizzarria, il suo essere sfacciatamente sopra le righe e la sua sconclusionata musicalità, e penso sia ben riuscito il miscuglio di folk, hard rock e progressive che ne costituisce l'ossatura. In definitiva, non credo che mi stancherà presto. Lo consiglio, ovviamente, ma forse è meglio un ascolto online preliminare all'acquisto, per capire se fate parte di coloro che possono apprezzarlo o lo odiano. Nel secondo caso, sarebbe veramente un peccato.
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Nicola Sulas
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