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Certo, gli ultimi cinque anni per gli IQ non sono stati un periodo da nulla. Già un intero lustro è tanto in generale, ma in senso artistico è un tempo quasi infinito. E questi cinque anni passati dal precedente “Dark Matter”, hanno dato più scossoni che i precedenti ventiquattro di carriera. Intanto, nel 2005 la dipartita per lidi lontani dalla musica dello storico batterista Paul Cook e l’ingresso di Andy Edwards, proveniente dalla band di Robert Plant. Poi, in piena fase compositiva, ecco la notizia dell’abbandono del tastierista e spesso mente della band Martin Orford, era il 2007 e in sostituzione arrivò Mark Westworth, già con i Grey Lady Down e Darwin’s Radio. Con questa nuova formazione viene inciso il disco in trattazione, ma la buriana non è finita, perché agli inizi del 2009 ecco la notizia che Edwards deve temporaneamente lasciare l’attività con il gruppo. Non resta che indovinare chi sarà il batterista per l’attività live. Esatto proprio lui, Paul Cook! Ad ogni modo con l’arrivo sul mercato di “Frequency” non possiamo che essere soddisfatti, se non altro perché fa riscontare la band ancora in fervente attività e, forse, tutti questi cambiamenti hanno favorito anche il tenerla in vita.
Nel 2008 uscì un doppio CD contenente alcuni demo, outtakes e brani live, tratto dal live tour. Il lavoro conteneva anche due nuovi brani che, già si sapeva, sarebbero finiti in questo nuovo disco. Si trattava di “Frequency e di “The Province”, che in effetti ritroviamo, seppur in versione diversa. Quello che appare chiaro dal disco è un tentativo di cambiamento, e non solo per i due nuovi elementi. Qualcosa è cambiato nei suoni, qualcosa nella struttura dei brani e nonostante molti, moltissimi momenti di déjà vu, ci appaiono sprazzi di formato novità.
Resta da capire quanto, in realtà, i fans della band attendano cambiamenti. Il dubbio sale forte e deciso, soprattutto se pensiamo al passato del gruppo e al periodo Menel, che fu messo nel dimenticatoio abbastanza con piacere con il ritorno di Nicholls e l’uscita dello splendido “Ever”. A conti fatti e con i dovuti ascolti e riascolti del disco, ne esce fuori un quadro piuttosto eterogeneo. Da una parte troviamo brani collocabili nello stile classico della band con new prog deciso e dai cambiamenti repentini, ricco e pieno in sonorità sempre a cavallo tra il moderno e il vintage, ma allo stesso tempo possiamo sentire brani, nei quali troviamo alcuni cambi sonori, seppure alternati sempre a momenti di conferma. Quindi, Frequency”, “Life Support” e almeno la prima metà del terzo “Stronger Than Friction”, possono essere inseriti, per la loro maggior parte, nella prima specie. Per le altre, ascoltiamo la delicata ed eterea “One Fatal Mistake”, una bella melodia, ma ripetuta troppo, fino a diventare pesante e (quasi) pedante. Da notare però che dal vivo questo brano viene ampliato con un interessante finale strumentale, qui completamente tagliato, peccato. Tratti dal piglio di prog più moderno, dovuti forse più a modifiche dello stile in arrangiamento che alla costruzione stessa dei brani, sono chiaramente avvertibili in “Riker Skies”, nei suoi spigolosi e straniti cantati, nei suoni elettronici sovraincisi. Nuovi suoni sono avvertibili in “The Province”, dove scopriamo una vena genesisiano-acustica e un crescendo hackettiano, in un inaspettato scambio umorale. Altre scosse di impostazione sono avvertibili, nelle molti parti semiacustiche della finale “Closer”, dotata di un bel crescendo centrale che vede ancora Nicholls in bella evidenza, per lasciare poi un ampio spazio alle tastiere prima del rientro in ballad semiacustica. Ad ogni modo, su tutto, c’è questo senso di forte oscurità, di tensione e di particolare pressione enigmatica, tratti che se nei lavori precedenti di tanto in tanto saltavano fuori, qui sono caratteristica dominante, nei suoni, nel frequentissimo uso di scale minori, nei contorcimenti ritmici, nelle splendide linee melodiche dei cantati, lontani anni luce dal giro “strofa + ritornello”, ma portati avanti in vero senso progressivo. Tutto questo ne fa, probabilmente, il disco maggiormente complesso e strutturalmente meno avvicinabile di tutta la carriera degli IQ e, attenzione, che questo è da intendersi - sicuramente - come dato più che positivo, che fa saltare fuori tutta la bellezza del disco solo dopo numerosi ascolti.
Per i membri, vecchi e nuovi, la conferma di un Nicholls che nonostante il tempo passato risulta in splendida crescita armonica, espositiva e di tenuta generale, dando, direi, la miglior prova in carriera. Ho trovato poi un Holmes più aggressivo, con accenni sporchi e distorti gestiti in maniera nuova, anche se i suoi assolo sono sempre riconoscibili alla prima nota. Altra conferma, quasi scontata, Jowitt e il suo stile preciso e dinamico. I due nuovi si inserisco più che bene: Edwards, non necessariamente più bravo o più adatto, salta all’orecchio per un apporto maggiormente tecnico e riempitivo, mentre Westworth alle tastiere lavora bene e in linea con Orford, quasi provenissero dalla stessa scuola, magari un po’ di diversità è leggibile nell’uso di suoni più vintage.
Un disco di musica già sentita, ma presentata con un bel vestito nuovo, fortemente professionale, serio e ben pensato, da ascoltare decine di volte per scovare piacevolmente ogni risvolto, sia esso già stato inciso 20 o 200 volte o dal piglio più nuovo. Disco che rappresenta una vera sorpresa, estremamente positiva. Imperdibile, non solo per i fans della band.
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