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I primi ascolti del nuovo disco di Nicholls e soci (sarà una cosa positiva che gli ultimi dischi degli IQ hanno bisogno di ripetuti ascolti per essere assimilati?) ci dicono che la delusione provocata da "The seventh house" è destinata a ripetersi. Delusione relativa, ovviamente: da vecchi fans del gruppo (del movimento intero del new Prog inglese degli anni '80, più che del gruppo singolo, potremmo dire) aspettiamo sempre con ansia ogni nuovo lavoro e vorremmo sempre che la magia di "The wake" si ripetesse. Questo è stato vero sia per "Ever" che per "Subterranea" (lo so che a molti non piace, ma fatevene una ragione… non è colpa vostra se non ci arrivate… :-) ma non, appunto, per "The seventh house" che, lungi dall'essere scadente, risulta più che altro... scialbo, senza mordente né alcunché che possa essere ricordato e ascoltato con piacere dopo qualche anno. Per "Dark matter" sembra ripetersi la stessa storia; l'album si compone di 5 canzoni, tra cui spicca la conclusiva "Harvest of souls" che dura la bellezza di 24 minuti. Gli elementi IQ ci sono tutti, quanto meno degli IQ degli ultimi anni: suoni puliti, un cantato che sembra quasi tecnicamente decente (al di là del carisma e tutto il resto che rende Peter il cantante ideale per gli IQ... sapete cosa intendo), canzoni abbastanza lineari, senza le apocalissi Prog dei primi lavori. Insomma, nulla di nuovo: gli IQ hanno il loro pubblico, abbastanza limitato numericamente (ed anche in quanto a pretese), ma ben definito e i nostri cinque si sforzano ogni volta di conciliare il minimo di creatività che le sensibilità di musicisti impongono loro con gli stilemi richiesti dai fans. Nulla però, almeno così sembra dai primi ascolti, che faccia gioire più di tanto uno dei fans sopra menzionati, ovvero il sottoscritto.
Il susseguirsi degli ascolti tuttavia riesce pian piano a farmi entrare nell'anima di queste 5 composizioni. Senz'altro "Dark matter" assomiglia più ad "Ever" che a "The seventh house", e questo è già positivo. Le 4 canzoni iniziali (tutte intorno ai 5 minuti, tranne l'opener "Sacred sound" che ne dura oltre 11) sono piene di piccoli o grandi particolari che ci fanno ricredere in parte sulla valutazione da dare all'album, con la centrale "You never will" a rimanere da sola a farci storcere il naso. Il livello delle composizioni mi pare ancora piuttosto debole, rispetto ai migliori lavori, ma alcuni passaggi e fughe strumentali, alcuni bei tempi dispari, certe atmosfere e le liriche di Peter meritano senza dubbio la compagnia dei più validi predecessori. La conclusiva "Harvest of souls" è la pièce de resistance del CD, una summa dello IQ-sound che non va assolutamente comparata con la drammaticità di altre lunghe suite del passato, ma che rappresenta un viaggio nelle emozioni che, per un fan di certe sonorità, ormai solo gli IQ sanno offrire.
In conclusione: non è certo il miglior album del gruppo e comunque mi aspettavo (ce lo aspettiamo sempre) di meglio, ma mi pare una buona risposta al mezzo passo falso di "The seventh house".
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