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Avevamo lasciato la band del chitarrista Mirek Gil (ex-Collage, per chi è ha abbastanza anni sulle spalle da ricordarsi i fasti di questo pilastro del new-prog polacco) con un album ben suonato, elegante e raffinato ma in ultima analisi interlocutorio intitolato “This bread is mine”. A suo tempo, il sottoscritto rimproverava un’eccessiva uniformità tra i brani contenuti, una certa forzatura nelle parti vocali e la virtuale assenza delle tastiere che avrebbero potuto conferire la profondità mancante. Mi fa piacere, a due anni di distanza, poter affermare che la band ha saggiamente rafforzato i suoi innati punti di forza (il senso della melodia, la chitarra immaginifica di Mirek, il prezioso violino di Satomi, la pulizia degli arrangiamenti), rimediando alle debolezze esposte in passato: il vocalist Karol Wróblewski – esordiente nell’album precedente - è ora perfettamente integrato nel suono dei Believe e può sfoggiare una sicurezza maggiore nell’interpretazione (nonché la propria firma in molte liriche), inoltre un sesto membro, Konrad Wantrych, è stato ingaggiato come tastierista “titolare”, pur restando spesso relegato nelle retrovie con l’eccezione di alcuni efficaci arpeggi pianistici.
Una situazione sempre più frequente in cui mi trovo, specialmente avendo a che fare con band dell’Europa continentale, è quella di avere la consapevolezza di ascoltare un lavoro magari carente in originalità ma emanante passione, professionalità e convinzione: è questo il caso di “World is round”, album che può vantare una pulizia di registrazione superiore alla media e una prestazione maiuscola da parte dei sei musicisti… tutto ciò non passa inosservato e, unito ad una cura “concettuale” negli art work del quattro lavori e ad un innegabile lavoro di promozione, fa sì che i nostri si guadagnino stima e rispetto a prescindere da ciò che resterà dall’ascolto ripetuto di questi dieci brani. Non che la carne al fuoco sia trascurabile: mi sono trovato a stupirmi dell’azzeccata ritmica “stop & go” della title-track, ho apprezzato l’urgenza espressiva di “No time inside”, ho annuito soddisfatto alla coda di piano su “So well” e con la sognante ballata “New hands” in perfetto stile Collage/Satellite, magari ho un po’ storto il naso per il tentativo prog-metal di “Cut me, paste me” (potenziale “singolo” per cui la band ha realizzato un video ufficiale) e per le voci distorte su “Guru”, ma certamente non mi sono… annoiato con l’assolo liquido di Mirek Gil su “Bored”. Come sempre, il violino della bravissima Satomi è lì a spolverare di magia brani altrimenti spesse volte un po’ ordinari: se devo infatti riassumere in una parola il maggiore difetto, parlerei di eccessiva prevedibilità. Per fortuna si conclude in bellezza con “Poor king of Sun” il brano più esteso del lotto, introdotto dagli strumenti a corda indiani (sitar e dilruba, il secondo suonato con un archetto) dell’ospite Tomiek Osiecki, con un interessante svolgimento che vede Satomi finalmente protagonista nel finale.
Non ho dubbi che questo quarto album segni un passo avanti per la band, così come non ho remore a consigliarlo a chi preferisce una proposta al passo con i tempi, informata del lavoro di band come Porcupine Tree e Riverside, oramai affrancata dalle influenze marillioniane, ma senza perdere di vista un romanticismo di fondo… tutto sommato questo lavoro potrebbe essere l’apice creativo dei Believe, ne riparleremo e sarò felice di essere smentito.
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