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Rick Wakeman dev’essere un gran simpaticone. A giudicare dalle informazioni che circolano da tempo su di lui, me lo immagino come una di quelle persone che ti trascinano al pub ed iniziano a fumare e trangugiare pinte di birra senza battere ciglio, mentre tu arranchi per stargli dietro e scivoli inesorabilmente nell’incoscienza alcolica cercando di concentrarti sulle sue guance rubizze, sui capillari del suo naso o sugli occhi lucidi, perdendoti nel frattempo qualche gustosa storiella della sua carriera di rock star. E non c’è dubbio che di storielle e aneddoti il buon Rick potrebbe raccontarne a bizzeffe. Da sempre praticante di uno stile di vita “sopra le righe”, fatto di eccessi che lo hanno anche portato all’infarto in età certo non avanzata, il tastierista ha visto la sua consacrazione professionale come componente degli Yes, suonando in alcuni dei loro album che hanno fatto la storia del rock. Come le cronache raccontano, e come le varie separazioni e riappacificazioni testimoniano, la convivenza con gli altri membri della band non fu mai semplice (anche perché la band in questione era composta da vegetariani salutisti), così Wakeman è stato molto attento a costruirsi nel tempo una carriera solista di successo che gli ha consentito di abbandonare più volte i suoi colleghi senza preoccuparsi di problemi economici e della propria libertà creativa. Confortato da ottimi risultati di vendita (almeno negli anni ’70), Wakeman ha utilizzato i suoi album solisti per sfogare le proprie manie di grandezza e la voglia di suonare note su note, liberandosi dalle limitazioni legate al dover lavorare con altri artisti e quelle imposte dalla struttura di certe composizioni degli Yes (memorabile l’episodio, confermato dallo stesso Rick, del pollo al curry mangiato durante l’esecuzione dal vivo di un brano di “Tales from topographic oceans”). Non fa eccezione questo live risalente al 2003, dove vengono lasciate da parte le pretenziosità new age e i piano solo per pescare nella sterminata discografia del rock barocco brani tratti da album come “The six wives of Henry VIII”, “No earthly connection”, “White rock”, e i più recenti “Out there” e “Return to the centre of the earth”. Lo stile è il consueto di Wakeman, fatto di virtuosismi, esasperazioni, pomposità, sovrabbondanza e voglia di stupire. Non è difficile, ascoltando l’album, immaginare il tastierista circondato dagli strumenti, con i suoi capelli biondi e i luccicanti paramenti sacerdotali, mentre suda copiosamente durante l’esecuzione. E sono infatti proprio questi i limiti di “In the nick of time”. Tutto è esagerato ed sproporzionato, per cui se non sopportate l’eccesso di assoli e di arrangiamenti il consiglio è di evitare come la peste l’album, specialmente se adorate gli Yes e pensate di avere problemi ad ascoltare una versione di “Wurm” trasformata in un trampolino di lancio per lo sfogo parossistico dei musicisti. Se, invece, adorate Rick Wakeman incondizionatamente, questo è semplicemente il disco che fa per voi.
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