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Un bell’otto su Pitchfork e un articolo gratificante sulle colonne del New York Times significano in fondo che i Dungen sono sopravvissuti alle mode e alle infatuazioni del momento. Quando uscì il loro album di maggior successo, “Ta det lungt” (2004), c’era nell’aria un ritorno di fiamma psichedelico che portò alla ribalta diversi gruppi di ispirazione simile ma a quanto pare il gioiello di Gustav Ejstes (è lui la mente della band) è sempre lì, inattaccabile, grazie forse alla sua grande coerenza stilistica e alla sua instancabile nostalgia verso scenari sonori appartenenti ad un passato ormai non più tanto vicino, nonostante la scelta decisamente poco commerciale di utilizzare lo svedese come lingua trainante per il cantato. La formula di base ricorda molto quella del precedente “Skit i allt”, opera risalente ormai a cinque anni fa, con canzoni pienamente votate alla melodia ma dalle trame inafferrabili e sfumate. Rispetto al suo predecessore, il cui titolo significava qualcosa come “al diavolo!”, questa “cosa di tutti” (settima opera in studio nella discografia dei Dungen) appare più densa di gustosi particolari, molti dei quali presentano un inconfondibile appeal sinfonico. I suoni acquistano maggiore profondità grazie anche al melange di sensazioni dolci e ruvide ma in prima istanza c’è sempre la ricerca di una forma accattivante e fruibile, spesso guidata dal cantato scorrevole, intimistico e piacevolmente sussurrato. Alla base dei testi ci sono scene della vita di tutti i giorni con i suoi affetti, gli amici, la famiglia. Una semplicità questa che forse non riusciamo ad apprezzare fino in fondo a causa di una lingua che certamente la maggioranza di noi non è in grado di decifrare ma che emerge in modo splendido ascoltando la musica, che davvero potenzialmente potrebbe essere stata scritta per ognuno di noi, con suo feeling libero, aperto e spensierato. Allora partiamo proprio da “Allas Sak”, prima traccia, con le sue atmosfere effervescenti ed ovattate, il retrogusto brumoso condensato da synth dalle colorazioni vintage e dal sax dell’ospite Jonas Kullhammar, le melodie limpide e l’amore per i particolari, sui quali spesso il gruppo ama indugiare e perdersi. Voliamo lungo il soffice tappeto ritmico di “Sista Festen”, con le sue chitarre hippie e la sua semplicità quasi disarmante, e sciogliamoci pure con “Sista Gästen”, un lento edulcorato e trasognato con melodie che tendono a sedimentare lentamente nell’animo di chi ascolta. Sono forse gli strumentali i brani di maggiore spessore ed ecco quindi “Franks Kaktus” con melodie a base di flauto ricalcate da una chitarra elettrica, quella di Reine Fiske, piacevolmente distorta, le trame ritmiche ondeggianti inanellate dal batterista Johan Holmegard e impressioni generali che riportano ai connazionali Egba, ma soprattutto “En dag på sjön” con le sue interessanti stratificazioni, i velati richiami Caterburyani, i riverberi continui dei suoni con uno splendido lavoro del piano e della chitarra elettrica in un ribollio continuo di sensazioni solleticanti. L'ascolto procede velocissimo fino in fondo, ovvero fino al decimo ed ultimo brano, intitolato semplicemente “Sova”, ovvero “sonno”. A differenza di tutti gli episodi precedenti, segnati in prevalenza da sentimenti positivi, con un'impressione generale di romanticismo e spensieratezza, il mood è questa volta melanconico e rassegnato, con sonorità buie dominate da un elegante organo Hammond e una progressione in lento crescendo che porta gradualmente alla deriva i nostri pensieri. Abbiamo superato di poco i quaranta minuti totali e non posso che confermare appieno i giudizi positivi già largamente dispensati dalla stampa in merito. Sono però sicura che se volessero i Dungen riuscirebbero sicuramente a forzare la mano donando alla loro musica maggiore potenza ed incisività, come d'altra parte è accaduto in alcune produzioni del passato e sono certa che ne verrebbero fuori cose sicuramente più interessanti. Dico così perché ancora una volta ho l'impressione di aver ascoltato qualcosa di molto bello ma di terribilmente sfuggente. Non me ne dolgo e sono certa che questa musica accompagnerà certamente alcuni bei momenti dei miei giorni a venire ma personalmente non posso che augurarmi, in un prossimo futuro, una svolta più grintosa e dinamica. Forse anche per i Dungen è giunto il tempo di cambiare un po'. Chissà?
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