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DUNGEN Tio bitar Subliminal Sounds 2007 SVE

Molto si è parlato in passato di gruppi come i Landberk, che hanno segnato, negli anni Novanta, un periodo di rilancio del progressive rock, portando addirittura ad identificare la loro musica col tipico sound di matrice svedese e aprendo la strada a nuove band che hanno introdotto certi elementi musicali nel proprio stile. Molto poco invece si parla di gruppi come questo, che, ironia della sorte, ha fra le proprie fila proprio Reine Fiske, ex chitarrista dei Landberk, e che si rifà alle radici più profonde del progg svedese. Non c'è bisogno infatti di cercare in giro per il mondo attinenze e punti di contatto con altri gruppi: lo spirito dei Dungen è tutto svedese e lo dimostra questo album, il quarto in studio (il debutto, omonimo, risale al 2001), intitolato semplicemente "Tio Bitar" (dieci pezzi, tante sono le canzoni che lo compongono). Il cantato, in svedese, come nella migliore tradizione musicale di questo paese, è tutt'altro che tecnico e ben impostato, ma si dimostra decisamente comunicativo, in stile quasi cantautoriale e coinvolgente al punto giusto. La ruvidità dei suoni, riverberanti e vintage, i caldi impasti dell'organo, avvolti da una fitta coltre psichedelica che deforma sensazioni e percezioni, ci riportano alla fine degli anni Sessanta o ai primi anni del decennio successivo, con richiami ad Hansson & Karlsson ed Asoka (anche se in questo caso l'organo fa più da tappeto che da strumento solista), ai primi album di Björn J:Son Lindh per le gentili incursioni folk, o a gruppi sconosciuti quanto bravi come i Bib Set, dalle sonorità acide e con quell'irresistibile feeling da cantina. Anche l'immagine che il gruppo dà di sé ci riporta nostalgicamente a quella corrente musicale e "filosofica", che era soprattutto e prima di tutto uno stile di vita, ritratta in maniera irresistibile dal regista Lukas Moodysson nel suo "Tilsammans": uno sguardo a qualche videoclip della band potrà chiarirvi questa visione. Tutti questi elementi vengono miscelati nelle canzoni dei Dungen con gusto e tecnica: se infatti i suoni sono piacevolmente distorti e sfocati, la perizia esecutiva del gruppo dona a questo album un taglio fresco e moderno, seppur dal sapore retrò. Il gruppo riesce a trasmettere un coinvolgimento emotivo istintivo immediato, come suggerisce la scelta stessa della copertina, che viene privata persino del titolo dell'album, a favore di un motivo geometrico psicotropo a tutto campo, stampato su un foglio di carta lucido e riflettente. A rendere ancora più piacevole questo CD è la scelta delle linee melodiche, impreziosite da loop sonori semplicemente ammalianti, con richiami sia ai già citati Landberk ma anche di Beatlesiana memoria, come la piacevole "Du ska inte tro att det ordnar sig" può suggerire, soprattutto per quanto riguarda le parti vocali.
L'album è estremamente godibile nella sua interezza: a partire da "Intro", dai riff di chitarra taglienti e distorti, con linee di flauto appena percettibili, ripetitive ed ipnotizzanti, che scorrono su una base pulsante di basso; passando a "Familj", con bellissimi intrecci elettroacustici e motivi folk disegnati dal violino; o a "Gör det nu", con un piano elettrico elegante, che gioca sull'alternanza di momenti rapidi e rallentamenti improvvisi e su melodie aggraziate ed acide allo stesso tempo. Idilliaco è lo strumentale "C visar vägen", questa volta dai suoni puliti e con tenui elementi melodici orientaleggianti disegnati dal violino. La centrale "Mon amour", dall'impatto più immediato, presenta una lunga fase centrale con assoli di chitarra distorti e approssimativi in stile "Träd, Gräs och Stenar", mentre la successiva "Så blev det bestämt" si mette in evidenza per gli intrecci fra Hammond e chitarra acustica. Un album quanto mai vario, forse un po' nostalgico, dai tratti melodici più pronunciati rispetto al precedente "Ta Det Lugnt"; sicuramente accattivante e coinvolgente nella sua inebriante esplosione di fumi, suoni e colori.

 

Jessica Attene

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