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Possiamo dirlo con certezza ormai: gli Spock’s beard hanno 7 vite come i gatti!! Toccato il fondo (almeno a parere di chi scrive) con “Feel euphoria” primo album del dopo-Morse (Neal), ma recuperato un certo credito con i tre lavori successivi in crescendo (“X” del 2010 non è niente male), devono ora sopportare anche l’abbandono del cantante e batterista Nick D’Virgilio (avvenuto alla fine del tour per promuovere “X”). Malgrado ciò, serrano le fila, promuovono il batterista “da concerto” Jimmy Keegan a membro effettivo del gruppo e reclutano l’ex-Enchant Ted Leonard nel ruolo di front-man. Non un’operazione tappabuchi e lo dimostra il fatto che lo stesso Leonard porta in dote al gruppo un paio di composizioni (e metta lo zampino almeno in un’altra) a significare la fiducia che il trio dei membri storici (Alan Morse, Meros e Okumoto) riversa nel nuovo cantante anche in sede compositiva. Certamente se vi aspettate i “Beard” dei primi tre album (i loro migliori… sempre a mio avviso), non avvicinatevi neanche a quest’ultimo lavoro (che comunque si aggiudica la palma di titolo più lungo tra gli undici album in studio della band); se invece concedete loro ancora un po’ di credito, scoprirete che “Brief nocturnes…” non è affatto un brutto album. Leonard, inoltre, seppur distante dallo stile del predecessore (e forse proprio per quello), conferisce un bel feeling a quasi tutte le composizioni, risultando promosso a voti pieni. “Hiding out” è un tipico brano “Beard”: riff secchi di chitarra, ritmi sostenuti, Hammond a piene mani e la voce, invero splendida soprattutto nei ritornelli, della new entry a sigillare ottimamente il tutto. “A treasure abandoned”, che ci riporta ai tempi dei primi lavori, è uno dei must della raccolta. Una bella introduzione sinfonica, Keegan che “pesta” meno duro del solito (e gliene siamo grati!), un refrain orecchiabile, assoli meno sferzanti e heavy del trademark consolidato (e siamo felici anche di questo…). Con questa traccia viene per così dire “esplorato” un certo tipo di new prog “all’inglese” lontano dalle tentazioni “theatheriane” che spesso hanno contraddistinto il suono dei 5 americani. “Submerged”, il brano più corto, strizza l’occhio alle radio FM, mentre “Afterthoughts”, figlia di secondo letto delle varie “Thoughts” presenti sia nella discografia del gruppo che in quella di Neal Morse solista, è un sentito omaggio al Gentle Giant style. Guizzi strumentali ben congegnati ed un ritornello banalotto, ma nel complesso efficace, sono il marchio di “Something very strange”. “Waiting for me”, scritta a 4 mani dai fratelli Morse (e l’apporto di Neal si sente eccome), è il meglio di quanto ci offre l’album. Ottime melodie, i soliti “backing vocals” riuscitissimi, Leonard molto centrato sia nei momenti più tirati che in quelli più delicati (e ce ne sono nel brano…) e una band che dà l’impressione di specchiarsi meno alla ricerca del virtuosismo e più concentrata sul risultato complessivo che è eccellente. Un lavoro, questo “Brief nocturnes….”, che si fa ascoltare con estremo piacere, con 2 o 3 brani sicuramente sopra la media e che potranno diventare dei “classici”, altri più ricchi di “mestiere”, ma comunque non si arriva alla doppia cifra di album pubblicati senza delle capacità e il gruppo dimostra di averne senza dubbio. Malgrado le traversie ed i cambi di line-up, quindi, Meros e compagni mantengono una certa credibilità e l’ingresso di Leonard pare abbia giovato nell’attesa di saperne di più magari già dal prossimo full length. L’edizione speciale dell’album presenta, per i fans più accaniti, un ulteriore CD con 4 brani per altri 25 minuti di musica, ma il meglio è già stato (speriamo) descritto.
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