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Sembra sia passato appena un giorno dal primo esaltante ascolto di "The light", l'album che nel '95 fece conoscere il fenomeno Spock's Beard a tutto il mondo prog, ed eccoci già al loro terzo lavoro in studio che, sin dalle prime voci al Progfest '97, si preannunciava come il loro capolavoro (per quei pochi fortunati che li poterono vedere esibirsi in un grande show). In effetti fin dai primi minuti non ci vuole molto ad accorgersi che di capolavoro si tratta! Ebbene sì, cari amici lettori (adesso non ti bullare - ndR), con tutta la buona volontà proprio non riesco a trovargli un difetto a quest'album. Se nel loro debutto la lunga suite "The water" poteva risultare un pochino tirata per le lunghe ed il secondo poteva talvolta strizzare l'occhio al pop commerciale, i 57 minuti di "TKOS" sono tutti da incorniciare. L'impatto del quintetto statunitense si fa ancora più potente e rock del solito, ma raggiunge anche il giusto equilibrio con la melodia, tanto da toccare vette sorprendenti. Si parte alla carica col mio brano preferito "The good don't last", 10 minuti di brividi sulla schiena e finale al fulmicotone. "In the mouth of madness" e "Cakewalk on easy street" rappresentano la tendenza nuova di esprimersi su durate piuttosto brevi. Si giunge ad un vero e proprio gioiello, "June", una ballata da ascoltare in religioso silenzio che a molti rievocherà nientemeno che "And you and I". Con i 4 minuti di "Strange world" si torna sui ritmi infernali dei primi brani. Come se non bastasse arrivano a questo punto le due suite a concludere l'album: "Harm's way" e "Flow" che oserei definire da paura! E' difficile trovare altre parole e a questo punto non vi resta altro che comprarvi uno dei più bei dischi degli anni '90!
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