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L'attesissimo follow-up di "The light" si presenta di primo acchito meno lampeggiante del suo predecessore, sicuramente meno immediato, con delle canzoni mediamente più corte (ma col top dei 16 minuti di "Time has come"), quindi occorrono un paio di ascolti per accorgersi che esso spazza via "The light" da diversi punti di vista. Meno immediato, certo... ma anche molto più sofisticato, da apprezzare al di là delle melodie più fruibili che arricchivano il pur stupendo album d'esordio.
La band adesso ha stabilmente inserito nel suo organico un altro tastierista, nella persona di Ryo Okumoto, già presente nelle (nellA..?) esibizioni live per aiutare Neal Morse che funge anche da voce solista appunto. Gli altri componenti sono immutati, compreso l'oramai noto nuovo drummer (quanto meno in studio) dei Genesis, ovvero Mr. Nick D'Virgilio.
Cominciamo subito alla grande con la title-track che, a dispetto delle conclamate influenze Kansas/Gentle Giant degli Spock's Beard, fa tuttavia pensare ai migliori Yes, quanto meno per la parte strumentale del brano. Ad ogni modo si tratta sicuramente di uno dei punti più alti del CD... godetevelo quindi subito... e aspettate il resto, che non è da meno. "Thoughts" è un tipico brano da Spock's Beard... se si può oramai dire così... mentre la successiva "The doorway"... ehilà... ci riporta verso le stelle coi suoi 11 minuti di Prog dalle forti tinte sinfoniche (come si sentono in certi punti le tastiere pesanti di Ryo...!). "Chatauqua".,. è in pratica la "Horizons" degli Spocks, una piccola pausa acustica per riprendere fiato prima di "Walking on the wind", altro pezzo forte che ci instupidisce fin dalle prime battute del sue bombardamento sonoro. Non pensiate tuttavia di ascoltare un brano (e un album) che non vi lascia tregua da parti strumentali concentriche ed avvolgenti, senza soluzione di continuità, come abitudine di molte bands americane (pensate ai Magellan...). Al contrario questa band, come nel primo album, ma ancor più in questo, propende per una concezione musicale che miscela armoniosamente e sapientemente il bombardamento sinfonico e la liricità del grande gruppo, non sfiancando mai l'ascoltatore con eccessi dall'una o dall'altra parte. La chiusura viene dunque affidata ai 16 minuti di "Time has come", come detto, un brano che necessiterebbe di un altro bel po' d'inchiostro per essere descritto...
Se gli Spock's Beard si erano guadagnati da qualcuno l'impegnativo appellativo di miglior gruppo americano degli ultimi 20 anni dopo il loro primo CD, con questo secondo hanno lavorato duramente per guadagnarsi questa definizione. Ci sono riusciti? Sappiatemi dire...
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