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“Willow’s Song”, enigmatica e seducente, è una ballad scritta dal compositore Paul Giovanni per la colonna sonora del film horror “The Wicker Man” (conosciuto in Italia come “L’uomo di vimini”). La pellicola, uscita nelle sale nel 1973, è ora considerata come una specie di opera di culto. La trama si svolge in un’isola scozzese abitata da pagani mentre la musica che accompagna le immagini intreccia nuance psichedeliche a motivi folk celtici e popolari in un groviglio di sensazioni contrastanti. Robert Reed ha sempre amato quella canzone e desiderava farne una versione sua, pensando in un primo momento di inserirla nel suo album solista “Sanctuary”. Tutti gli strumenti sono i suoi mentre la splendida voce solista è quella di Angharad Brinn, la cui ugola dolce e tagliente abbiamo potuto già apprezzare nello splendido album dei Kompendium (ennesimo progetto di Reed) intitolato “Beneath the Waves” (2012). Ma una breve traccia cantata andava a rompere la perfetta simmetria di un disco come “Sanctuary”, composto da due sole lunghe tracce strumentali, e così ecco l’idea di creare una specie di piacevole complemento all’opera principale e di stamparla in tiratura limitata autografata. A “Willow’s Song” è stata presto aggiunta una bella versione del celebre motivo tradizionale “Scarborough Fair”, riarrangiato da Reed e interpretato sempre da Angharad. Le immortali melodie celtiche e le stranianti fragranze della title track appaiono in qualche modo in continuità con l’appena citato “Beneath the Waves”. Il gusto di Reed è ben percettibile, la dolcezza e la pulizia degli arrangiamenti sono ormai inconfondibili. Umori tetri si mescolano ad una delicatezza misteriosa, la nuova versione è intrigante almeno quanto quella originale che comunque vi invito a scoprire, se non la conoscete, perché ne vale davvero la pena. Il feeling non si spezza con la già citata “Scarborough Fair”, motivo che probabilmente conoscete già tutti, anche se magari il titolo non vi è familiare. Vi sono poi due graziosi e brevi strumentali tratti dalle session di “Sanctuary”, “Gavotte”, il cui titolo profuma ancora di fragranze celtiche, e “First Contact”, due episodi profondamente Oldfieldiani, per forza di cose, se avete presente appunto “Sanctuary”. A seguire ecco tre brevi sketch pianistici, dai lineamenti ariosi e impalpabili, due remix inerenti sempre l’appena citato album e in conclusione una versione strumentale di “Scarborough Fair” e la extended version di “Willow’s Song”. Va da sé che per la sua stessa natura questo graziosissimo mini-album è destinato agli estimatori di Robert Reed e del suo “Sanctuary” che credo comunque non saranno in pochi. E’ innegabile che “Willow’s Song”, intendo il brano in sé, abbia un fascino tutto suo ma forse questo unico fattore come movente è un po’ scarso.
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