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Il nuovo album dei Cast (ne ho perso il conto... l'ottavo forse, esclusi i live) presenta un ritorno ad atmosfere più sinfoniche e gioiose, dopo le sonorità un po' più cupe di "Angels and demons", e anche un po' meno jazzate del precedente "Beyond reality". Il genere musicale ormai dovreste conoscerlo: new Prog quanto a sonorità, Genesis e Camel per l'ispirazione. La prima parte del cd già quasi toglie il respiro per la bellezza dell'impasto sonoro, per l'onnipresenza (ma non l'invadenza) delle tastiere, per i frequenti interventi di flauto, per la melodicità di una chitarra molto hackettiana, per un cantato passionale e sapientemente dosato. Si tratta in prevalenza di brani brevi e veloci, con una ritmica spesso frenetica che poggia sul grande lavoro di tastiere di Alfonso Vidales, da sempre l'anima dei Cast, con la punta nel brano d'apertura "Moving universe". La seconda parte è caratterizzato dai due masterpieces di quest'album, due composizioni di una decina di minuti, la prima (la title-track) a formare una suite strumentale in tre parti dai toni epici, la seconda caratterizzata da una grande prestazione vocale e lirica. Un album che conferma alla grande un gruppo che si è lentamente imposto come tra i più importanti attualmente esistenti nel suo genere.
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