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I Cast sono sicuramente uno dei gruppi più prolifici tra quelli emersi in quell’ondata che negli anni ’90 sembrava stesse rivitalizzando non poco il mondo del prog. Dall’esordio datato 1994 e per circa un decennio le prove discografiche della band messicana si sono succedute a ritmi vertiginosi, talvolta toccando anche quota tre album nell’arco di dodici mesi. A partire dal 2008, dopo la pubblicazione di “Originallis” le uscite si sono diradate non poco; infatti, da quella data a oggi, sono stati realizzati solo “Art” (2011), “Arsis” (2014) e questo “Vida” (2015). Sarà stata forse la necessità di un nuovo assestamento di formazione, fatto sta che negli ultimi tempi il gruppo non è riuscito ad essere produttivo come aveva saputo esserlo per quasi tre lustri. Con la nuova line-up presente su “Vida” troviamo dei Cast forse al massimo del loro splendore. Il leader Alfonso Vidales (tastiere), si circonda di musicisti di qualità quali Antonio Bringas (batteria), Claudio Cordero (chitarra), Roberto Izzo (violino) e Flavio Miranda (basso) e dei cantanti Bobby Vidales e Lupita Acuña. Hanno partecipato alla registrazione del nuovo cd, inoltre, anche il rodato Pepe Torres ai fiati, nonché il quartetto d’archi italiano Gnu (di cui fa parte il già citato Izzo). Per quanto riguarda il contenuto dell’album, la band ha puntato su una scelta non nuova: rielaborare una serie di brani già presenti su vecchi album, aggiungendoci un unico inedito. In poco più di un’ora possiamo ascoltare il “classico” sound a cui ci hanno abituati i Cast: un rock sinfonico altisonante e con belle aperture melodiche, con le tastiere in primo piano, pronte a cedere comunque spazio anche agli altri strumenti in composizioni articolate e di ampia durata (non si scende mai sotto i sette minuti), ricche di cambiamenti di tempo e di atmosfera. Nulla di nuovo, insomma, ma è proprio questo che rende la band assolutamente affidabile; sappiamo cosa aspettarci e i livelli qualitativi si mantengono ampiamente soddisfacenti. Per di più, l’inserimento degli archi rende ancora più ricco il quadro timbrico e i nuovi arrangiamenti con cui vengono riproposti cavalli di battaglia quali “Dragon’s attack”, “Silent war”, “Run in the rain”, “House by the forest” e la lunga suite “Door of the world” sono assolutamente convincenti e sembrano rivitalizzare sufficientemente bene questi pezzi. “Change”, la traccia inedita, nei suoi oltre nove minuti non fa altro che mantenere gli stessi standard, sia qualitativi che stilistici. Restano magari ancora non del tutto convincenti, come al solito, le parti vocali (per l’occasione in inglese), ma non è storia nuova e ormai siamo abituati anche a questo. Si segnala anche che in questa occasione si sono voluti affidare ad un nome pesante per la copertina, visto che l’autore è Paul Whitehead. Per un amante del rock sinfonico, alla fine, la musica dei Cast resta la solita sicurezza. Anche ad oltre venti anni dai primi passi di questi messicani, anche riproponendo materiale vecchio, anche se di vere e proprie sorprese non se ne parla, la piacevolezza d’ascolto c’è sempre ed un nuovo album è sempre il benvenuto.
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