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Guardando il numero dei lavori dei Soft Machine, usciti negli ultimi due anni, parrebbe essere di fronte ad un gruppo in piena attività, invece stiamo parlando di una band che sulla carta è sciolta da circa 25 anni. Questo “nuovo” lavoro presentato dalla Cuneiform, specializzata nel trattare con garbo anche le più toste avanguardie del prog, è realizzato in due supporti differenti: un CD live tratto dalla serata del 25 ottobre 1970 ad Amsterdam e un DVD, sempre live, tratto dagli archivi della Radio Bremen’s TV Studios, tedesca per lo spettacolo al Beat Club del 23 marzo 1971.
Formazione monumentale (Hopper, Dean, Ratledge, e Wyatt) e scaletta inossidabile tratta quasi per la totalità dal periodo di Third.
Supporto 1: CD
È l’anima jazz e avanguardistica ad avere la meglio, Elton Dean è incontenibile nelle sue divagazioni, nelle sue isostasie, nel rovesciare le melodie per trasformarle in materia somma e indiscutibile. “Facelift” perde i tre quarti della durata originale e in questa forma contratta diventa una sorta di foglio, piegato in quattro: ne vedi un quarto, ma hai il peso di tutto il foglio. Anche “Slightly All The Time” si dimezza in durata, qui purtroppo perdiamo l’assolo di sax del finale, con tutta la sua carica di dolce nostalgia. Tanta improvvisazione, fughe dagli schemi, spesso le note originali fanno a rincorrersi con le parti nuove, spesso rimangono nelle pieghe di un assolo, rumoreggiato da Ratledge. Wyatt è splendido, il suo sfarfallio, sulle pelli tirate allo spasimo e rapido e dolce, è un signore dei tamburi, non eccede eppure è sempre presente. Hopper, al quale spesso è lasciata la decisione per lo sviluppo ritmico dei brani, ha capacità fuori da ogni limite, riesce a riportare schemi, che paiono persi nella più totale perversione improvvisatrice, a raffinati momenti di jazz, consentendo a Dean di inserirsi sempre alla meglio. Null’altro che una gioia per orecchie.
Supporto 1: DVD
Breve, una ventina di minuti, ma un documento immenso. Parte con un minuto di caos totale dove ognuno pare impegnarsi per fare una cosa diversa dagli altri, come per incanto, senza segnali, senza battute d’avviso, senza occhiate d’accordo, tutto muta simultaneamente, raddrizzandosi in un melodioso jazz. Una prova di affiatamento e maestria senza pari. Incredibilmente efficace l’improvvisazione vocale di Wyatt, che in due minuti e mezzo ci regala un tuffo nella Canterbury di Hatfieldiana memoria, sulle poche note, buttate dall’organo di Ratledge. Chiude il DVD “All White” che finirà l’anno successivo su Fifth.
Il bianco e nero delle immagini è di grande qualità e anche l’audio è pulito Insomma una bel lavoro di recupero.
La conclusione, fatta a mera geometria, ci dice che i Soft Machine sono un punto fermo come il metro o il litro. Sono la misura di quanto il jazz abbia saputo e potuto coincidere con avanguardia e progressive di un certo stampo. Questo lavoro è grande e difficile, ci ripropone un ascolto al quale forse si era più avvezzi 20/30 anni fa, costringendoci ad un esercizio, specie per il DVD, che assomiglia a rispolverare le equivalenze per rifarle assieme ai figli in età scolare.
La bellezza di questo lavoro, seppur indiscutibile, è destinata solo a chi sa di potersi calare in quelle atmosfere. Gli altri, ormai consapevoli di perdersi qualcosa di grande, potranno stare alla finestra, è questione di scelta.
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