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THIEVES' KITCHEN |
The water road |
autoprod. |
2008 |
UK |
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Che questa band avesse delle buone potenzialità nessuno lo metteva in dubbio e proprio in relazione alle qualità di questi musicisti i precedenti lavori ci avevano sempre lasciato con l'amaro in bocca, con un senso di insoddisfazione che derivava proprio dalla delusione di non vedere totalmente appagate le proprie aspettative. Con questo nuovo lavoro, il quarto in studio, il gruppo fa tabula rasa, volta pagina e cambia totalmente stile trovando finalmente la propria dimensione ideale. Non solo i Thieves' Kitchen hanno trovato l'energia ed il coraggio di rimettersi totalmente in discussione ma sono riusciti a raggiungere delle altezze totalmente inaspettate, dando vita ad un album raffinatissimo di prog sinfonico che sembra quasi inserirsi nel filone delle band scandinave di nuova generazione. A vedere bene scopriamo un paio di graditi ospiti come gli ex Änglagård Anna Holmgren al flauto e Mattias Olsson (qui impiegato soltanto per qualche loop in una traccia) e la altrettanto svedese Stina Petterson al violoncello ma sicuramente non dipende in maniera decisa dalla presenza di questi ospiti il mutamento stilistico radicale adottato dalla band quanto probabilmente dal nuovo tastierista in carica, Thomas Johnson, che, se il nome vi dice qualcosa, era proprio lo stesso degli Änglagård! Non aspettatevi comunque delle clonazioni del gruppo svedese appena citato: percepiamo perfettamente delle cadenze neo scandinave, come nella bella traccia di apertura, la suite di 21 minuti che porta il titolo di "The Long Fianchetto", per le linee morbide di piano elettrico, per gli intrecci oscuri e deliziosi fra flauto e violoncello, per quel Mellotron così vellutato e seducente da sembrare di proprietà degli Opeth di "Damnation" ma tutte queste influenze, decisamente strane per un gruppo inglese, si stemperano in un prog romantico raffinato che ricorda a tratti i Magenta o addirittura i Glass Hammer per gli intrecci vocali. Il risultato finale è senza dubbio stupefacente e bisogna dire che l'album si presenta abbastanza vario nel succedersi delle tracce: i 21 minuti iniziali che la band ci propina subito in apertura hanno un effetto straordinario ma ogni traccia contenuta in questo dischetto ottico ha la sua peculiarità e la sua personalità e ci lascia capire come il gruppo si sia impegnato a fondo rifinendo al massimo ogni particolare. Forse la traccia più stranamente folk e reminiscente in qualche maniera del repertorio degli Änglagård è la breve "Returglas", con intrecci musicali oscuri, suggestive parti corali, un flauto che aleggia come uno spirito solitario e pensieroso ed il Theremin che accresce con le sue urla il senso di angoscia sinistra e di mistero. Ma si tratta solo di un'altra traccia nel contesto di un album, lo abbiamo detto, decisamente vario e di ispirazione nordica solo in parte. Con la successiva "Chameleon" la musica si fa romantica, delicata e sognante, addolcita notevolmente dalla voce di Amy Darby, con arpeggi acustici, un tocco soft jazz ed un organo dai suoni avvolgenti. Uno degli aspetti più piacevoli è sicuramente dato dall'accurata scelta degli strumenti musicali impiegati ad ogni occasione, con l'inserimento dei giusti layers di tastiere o di qualche chicca, come qualche isolata nota di sax. Particolare e sorprendente anche "Om Tare" per il cui testo vengono spolverati dei versi nientemeno che in sanscrito mentre i ritmi si fanno abbastanza frastagliati e le linee vocali ossessionanti e tormentate danno un effetto finale davvero particolare. La seconda parte del CD contiene i pezzi più delicati, con un finale di 11 minuti (offerto dalla title track) decisamente elegante, guidato dalla voce sommessa e gentile di Amy e con tanto di svolazzi di flauto ed oboe. E' chiaro che la band abbia dato il massimo ma l'aspetto pregevole è rappresentato dal fatto che non si è mai spinta sopra le righe, non trascendendo mai il senso del buon gusto e della raffinata eleganza. Ciononostante i passaggi musicali di questo CD si lasciano apprezzare per la loro fresca e semplice complessità e per composizioni che non colpiscono mai a viso aperto ma che con fare ammaliante irretiscono l'ascoltatore in punta di piedi. Non vorrei avere sovrastimato l'effettivo valore di questo album con il mio entusiasmo, ma ascolto dopo ascolto mi sento di dire che per certe caratteristiche questo lavoro merita davvero un plauso speciale. Fra suggestioni soft jazz, prog romantico e contaminazioni nordiche, questo "The Water Road" farà sicuramente la gioia degli amanti del prog sinfonico.
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Jessica Attene
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