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A mio modestissimo modo di vedere, il primo disco degli Änglagârd è talmente eccelso da poter addirittura divenire strumento d'indagine. Per farsi un'idea della stoffa del prog fan col quale si sta parlando, è sufficiente chiedere un giudizio su Hybris: se questo sarà positivo, ci si potrà avventurare in interessanti disquisizioni... se invece il nostro interlocutore sarà rimasto indifferente a queste magiche note, saranno immediatamente evidenti tutte le limitazioni dalle quali è gravato, come costretto da un guinzaglio legato ad un palo che non gli permette di allontanarsi dai rassicuranti "potrei ma non voglio... o vorrei ma non posso" del prog dell'ultima generazione, obbligandolo a calpestare e ricalpestare la stessa erba fino a consumarla. De gustibus, direbbero i Deus ex Machina, e mai questi verranno messi in discussione o irrisi, diciamo noi... l'unica obiezione è che quanto gli Änglagârd hanno proposto nel 1992 è puro, cristallino prog, è l'epicentro dal quale muovono tutte le diramazioni nelle quali si sviluppa la nostra musica... più ci si allontana da qui, più ci si allontana dal prog. Fine della lagna. Ma non c'è neppure molto da aggiungere: basti dire che questo disco è un estratto della performance tenuta al Progfest di Los Angeles del 94, ripropone interamente il primo lavoro Hybris e due brani che, all'epoca, anticiparono Epilog. Dura 72 minuti. E' ben registrato, non eccessivamente manipolato in studio e... triste. Triste come il "testamento" che si legge all'interno del libretto nel quale si annuncia che questo sarà l'ultima uscita discografica degli Anglagard e prosegue illustrando i controsensi di uno fra i gruppi più importanti dell'ultimo decennio... fino a dedicare il lavoro "a coloro che hanno ascoltato i nostri tentativi di rivitalizzare un genere di musica che, sebbene venga continuamente dato per morto, riappare sempre da qualche altra parte". Änglagârd = Prog? Riappariranno anche loro?
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