|
“Magnification” era stato un apprezzabile colpo di coda di una carriera ricca di capolavori ed ora giunge, quasi inaspettato, questo nuovo lavoro degli… ah no… ricominciamo.
“ Three cheers for the broken hearted” del 2009 era stato il punto più basso della discografia dei Glass Hammer che possono vantare nella loro carriera alcuni fra i gioielli migliori del progressive degli ultimi anni come “Lex Rex” ed “Inconsolable secret” (almeno).
Un album, “Three cheers…”, svogliato, decisamente pop, in cui il trio (Babb, Schendel, Bogdanowicz) sembrava essere giunto al capolinea, quantomeno se avesse continuato per quei più facili sentieri.
Invece… Invece succede che Fred Schendel (tastiere, steel e mandolino) e Steve Babb ( basso e tastiere) riorganizzano la band (senza la Bogdanowicz) con il chitarrista Alan Shikoh, il batterista Randall Williams (ospite esterno) ed il vocalist Jon ( scelto anche per il nome?) Davison e confezionano un album che manderà in solluchero tutti gli amanti dei migliori Yes.
I due leader non hanno mai nascosto il loro amore per la band inglese e quindi non ci si deve stupire , ma stavolta si sono superati ed il lavoro, ci azzardiamo, non avrebbe affatto sfigurato nella discografia Seventies o in quella relativamente più vicina (sono passati comunque pur sempre 15 anni) dei due “Keys to ascension” di Squire e soci.
Tutti e 6 i brani che compongono “If” sono sostanzialmente riusciti.
“Beyond,within”, con il suo ritornello a presa rapida, con i controcanti col marchio “DOC”, con le fasi “sospese” che poi esplodono in un vortice di suoni sfavillanti; “Behold, the ziddle” più vicina alla serenità di un “The yes album” che non alla magniloquenza di un “ Close to the edge”.
Incantevoli anche la breve “Grace the skies” pura e fresca nella sua semplicità ( e molto andersoniana…) e “At last we are” con un finale che paga tutti i dazi musicali agli Yes ma sicuramente toccante.
“If the stars” oltre ai seducenti cori, si segnala per l’incisiva chitarra di Alan “Howe” Shikoh ( tanto per non lasciare nulla al caso..), mentre non poteva mancare la suite, stavolta posta a chiusura dell’album.
“If the sun” con i suoi 24 minuti racchiude tutte le caratteristiche presenti nei brani che l’hanno preceduta, ma per contro, è anche quella che più si discosta (ok… leggermente…) dai maestri inglesi.
E’ vero che in ogni momento potrebbe partire lo stacco finale di “ Starship trooper” o il tema di “Perpetual change”, ma nel brano i Glass hammer aggiungono anche qualche spruzzata new prog e qualche riff più duro del solito. Un finale sopra le righe, ma che non ci fa scordare una domanda fondamentale: cui prodest? A chi giova oggi un album così? A noi, inguaribili “cuori teneri” sicuramente si.
|