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16mo album (se non consideriamo “One” pubblicato nel 2010 ma che si riferisce a registrazioni antecedenti l’esordio ufficiale del 1993) per gli statunitensi Glass Hammer che da qualche tempo “viaggiano” al ritmo di un album all’anno!! Due novità balzano subito all’occhio leggendo le note dell’esaustivo booklet: Carl Groves, voce principale negli ultimi due lavori, ha lasciato per l’ennesima volta il gruppo e, di conseguenza, i due leader Steve Babb e Fred Schendel (dopo parecchi album) ritornano a rivestire i panni di “lead vocalist” in compagnia di Susie Bogdanowicz (ritornata in seno alla band da qualche tempo). Alan Shikoh alle chitarre e Aaron Raulston alla batteria completano la line-up di “Valkyrie”, un concept album incentrato sulle vicende di un soldato impegnato al fronte disgustato dagli orrori della guerra. Difficile, se non impossibile, aspettarsi qualcosa di diverso nel sound di un gruppo da così tanto tempo in attività, anche se, per la verità qualche tentativo in “Valkyrie” è stato fatto anche se non sempre con risultati ottimali. Riconosciamo a Babb e Schendel (entrambi autori delle musiche, mentre del solo Babb sono le liriche) il merito di aver mantenuto un’ispirazione sempre più che accettabile eccettuata l’inspiegabile caduta di tono di “Three cheers for the broken-hearted” di qualche anno fa. Il nuovo album si conferma sostanzialmente un buon lavoro (anche se non privo di qualche ombra) malgrado i due leader non abbiano nel canto il loro punto di forza e la Bogdanowicz non sempre sia convincente nell’interpretazione dei vari brani. Come da trade-mark, basso e tastiere dominano le composizioni sin dall’introduttiva “The fields We know”. Timidamente fa la sua comparsa anche la chitarra di Shikoh su un impianto appena più rock. Con “Golden days” iniziamo a sentire la voce della Bogdanowicz. Il brano è un compendio di prog sinfonico e le tastiere di Schendel scorrazzano libere ad enfatizzare i momenti più importanti. “No man’s land” (con i suoi 14 minuti la traccia più corposa dell’album) ha una lunga introduzione basata essenzialmente su tastiere soffuse. Iniziano poi il canto di Susie, doppiato volentieri dai cori di Steve e Fred, e le piacevoli digressioni strumentali. A metà brano, ad una ritmica più coinvolgente fa seguito un bel keyboards-solo, mentre suoni “space” ci conducono repentinamente al finale. “Nexus girl” è uno strumentale piuttosto cupo ( e piuttosto atipico per la band) che schiude le porte alla title track. Una malinconica ballata appena impreziosita da chitarra e tastiere e che non rimarrà tra i punti cardine della produzione della band, soprattutto se isolata dal concept nella quale è inserita, pur essendone funzionale alla narrazione. Altro registro , invece, per “Fog of war” con riff incalzanti di Shikoh, ma melodicamente non sempre all’altezza ed in cui si avverte la mancanza di un cantante di maggior impatto. La morbida voce della “singer” apre “Dead and gone”, altra soft-song per una buona parte dei suoi dieci minuti. Un modus più incalzante con chitarra e tastiere in primo piano ne alzano sul finale il livello. “Eucatastrophe” si muove ancora su coordinate romantiche e delicate, a parte un crescendo ritmico posto in chiusura. “Rapturo”, pur iniziando sulla stessa falsa riga del precedente, è il brano in cui la Bogdanowicz risulta più convincente come del resto il crescendo strumentale non è da disprezzare, tutt’altro. Si chiude così l’ennesima fatica discografica del gruppo statunitense che ci lascia abbastanza soddisfatti ma anche con qualche perplessità. In primis la mancanza di un vocalist di “peso” che possa dare valore al lavoro della band. In secondo luogo il sound un po’ “autunnale” di alcuni brani non pare molto nelle corde del gruppo (anche se apprezziamo lo sforzo di uscire da un certo trend più consolidato e rodato) e ne penalizza le velleità strumentali, soprattutto del bravissimo (e non sempre “sfruttato” appieno) Alan Shikoh che meriterebbe maggiore spazio, a nostro avviso. Difetti o semplici “impacci”, se preferite, che potranno senz’altro essere eliminati o corretti con un attenta riflessione interna e non importa se il prossimo lavoro targato Glass Hammer non sarà nel 2017…
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