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Tre album in tre anni per i Glass Hammer. Dopo gli eccellenti “If” e “Cor cordium” ecco quindi “Perilous”, con la line up che pare ormai stabilizzata con Steve Babb, Fred Schendel, Alan Shikoh e Jon Davison e con Randal Williams (ospite ormai fisso, alla batteria). Importante anche il ritorno dell’Adonia String Trio (già presente in alcuni album del gruppo) che impreziosisce il sound della band. Tre lavori in altrettanti anni possono significare naturalmente molte cose. Un notevole fervore creativo dei due leader (Babb e Schendel), alle prese stavolta con un concept album, ma anche (e che ci sarebbe di male?) il cercare di “sfruttare” una sorta di pubblicità “di riflesso” che l’ingresso di Jon Davison negli Yes ha certamente portato ai ragazzi di Chattanooga. Pensiamo ad esempio alla “Cruise to the edge”, la crociera nel Golfo del Messico che vedrà i nostri impegnati sul palco con i vari Hackett, Yes,Tangerine Dream ed altri ancora nel prossimo mese di Marzo. Non escludendo la seconda ipotesi, preferiamo considerare come valida la prima perché anche “Perilous” è un ottimo album che prosegue, anche se solo parzialmente, quanto proposto dai due lavori “gemelli” che l’hanno preceduto (le copertine simili, una lunga suite, tre brani di media lunghezza e due più brevi per entrambi i cd, oltre che atmosfere comparabili di sgargiante solarità).
Innanzi tutto si tratta di un concept che si dipana in tredici composizioni (alcune anche molto brevi e mai comunque superiori agli otto minuti) legate fra loro per un viaggio “pericoloso” oltre le porte del cimitero!!! Le sonorità vintage delle tastiere, pur non perdendo il loro fascino, sono smussate dalla solita produzione raffinata (e un poco patinata) che rendono il risultato finale attuale e modernissimo. La principale fonte di ispirazione è rappresentata come sempre dagli Yes (“The yes album”, “Keys to ascension”) e non solo per la voce di Davison. Le composizioni, ariose e melodiche, ricche di cori e virtuosismi, colpiscono anche questa volta nel segno e la formula si dimostra ancora una volta vincente. Manca forse in “Perilous” il brano che “faccia saltare il banco”, anche se “The sunset gate” (con l’intro d’archi dell’Adonia String Trio), “We slept we dreamed”, rarefatta e sognante come i Glass Hammer sanno ben fare, e l’eterea “In that loney place” (cantata da Amber Fults) sono ottimi brani. Forse bisognerebbe evitare di soffermarsi sul singolo brano per concentrarsi sull’opera nella sua interezza ed ecco che “Perilous” ci potrebbe apparire come un passo “laterale” rispetto ad “If” e a “Cor cordium”, meno appariscente ma più maturo ed articolato.
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