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Terminata questa mandata di progetti solistici marillioniani, cerchiamo di tirare un po' le somme. Archiviamo sicuramente come migliore dei tre album quello degli Iris di Ian Mosley, ma subito dopo viene sicuramente quello del tanto bistrattato vocalist, che sopravanza Rothery di un paio di lunghezze. "Icecream genius" gode innegabilmente della produzione di Richard Barbieri in maniera netta; grande è in effetti l'influenza Japan in tutte le 8 tracce dell'album, anche in quelle in cui la ritmica si fa un po' più movimentata (l'ottima "Until you fall"). Non si parla di un vero e proprio album Progressive, tanto per intendersi, per lo meno non come lo si intende di solito. I Marillion non sono molto presenti nella musica che Steve ha scelto per quest'album, se non alcune cose che possiamo ricollegare a stralci di "Brave". Siamo ben poco in grado di poter dire quanto ci sia del background di Steve in questo disco, e quanto sia dovuto all'influenza di Barbieri... ad ogni modo il risultato è molto positivo. Le atmosfere che trasudano da questo lavoro possono venir apprezzate senza remore né timori dagli amanti della nostra musica preferita... anzi... perfino da chi non va pazzo per i Marillion stessi. L'avvio riservato a "The evening shadows" costituisce un valido antipasto del seguito, anche se questo brano ci riporta alla mente "The great escape" (con un inciso stranamente floydiano...). Il seguito è appunto caratterizzato dalle strane atmosfere di synth affidate alle sapienti mani di Barbieri su cui la voce di Steve dà il meglio dì sé, quasi sempre soffusa e lontana da acuti che fecero dire a suo tempo di lui "un buon cantante ma con un paio di fili elettrici scoperti dimenticati nella gola". Non si tratta di un album che farà la storia del Prog, ma che vi consiglio di non lasciar passare con leggerezza.
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