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Sarebbe sicuramente ingiusto definire scadente questo nono album in studio dei Marillion (il primo non pubblicato dalla EMI)... ma sarebbe altresì scorretto definirlo una grande cosa. Il gruppo già a partire da "Brave" stava incanalandosi verso una nuova personalità, fatta di atmosfere più acustiche e, se vogliamo, americane che in precedenza; "This strange engine" secondo me sancisce il raggiungimento di questo nuovo modo di essere, in cui la chitarra di Rothery appare sempre meno protagonista di assoli mozzafiato (si era però giunti a un pericoloso livello di saturazione e ripetitività, in tal senso) e le tastiere rivestono sempre minore importanza. La musica di quest'album è sicuramente più raffinata e curata e lascia sempre meno spazio all'emotività, per lo meno quella data da una prestazione strumentale aggressiva e paritaria, se non sovrastante, a quella vocale. Ora sembra invece di ascoltare un disco di Steve Hogarth & his band, dato che la musica pare proprio di contorno al cantato... Un effetto Phil Collins? Non credo proprio, sinceramente, ma l'impressione resta. Detto ciò, vien da sé che la maggior parte dei brani di quest'album risultino, se non brutti (questo non si può proprio dire), quanto meno un po' anonimi e scialbi ("80 days", "Hope for the future"). Non mancano fortunatamente episodi che si elevano sopra la media, tipo l'ottimo inizio di "Man of a thousand faces", "Estonia" ed i conclusivi 15 minuti della title-track, non a caso il brano che più ricorda i vecchi Marillion ed in cui si gode dell'unico vero assolo di chitarra di tutto l'album. Dunque, si diceva... un album non brutto, ma un album scialbo... sicuramente migliore tuttavia del suo predecessore: per lo meno adesso il gruppo si sta assestando su una sua personalità definita e non ci sono vere cadute di stile... e poi, ripeto, la title-track è proprio bella.
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