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Scelti come headliner per il secondo giorno del festival “Progrock 2009” Festival, tenutosi al Teatro Wyspiański nello scorso mese di febbraio, i tedeschi RPWL, che quest’anno festeggeranno il loro decimo anniversario di attività, vedono pubblicato il loro primo DVD live di durata piena a suggellare il ragguardevole traguardo raggiunto. Nato come cover band dei Pink Floyd (e tuttora attivi anche su tale fronte: è in programma costruito sulla scaletta di “Animals”), il gruppo deve il nome alle iniziali dei cognomi dei quattro fondatori; tre di essi sono tuttora parte integrante della band: il cantante e tastierista Yogi Lang, il chitarrista Karlheniz Wallner e il bassista Chris Postl, tornato in pianta stabile nel gruppo dopo qualche anno di defezione. Completano la lineup il secondo tastierista Markus Jehle, che permette a Yogi di dedicarsi pienamente al suo ruolo di frontman, e il nuovo batterista Marc Tauriaux. Per la scaletta della serata polacca, la band pesca equamente tra i brani degli ultimi tre album, con un solo estratto dall’esordio “God has failed”, inserendo inoltre due curiosità chiaramente dovute alla loro lunga esperienza con il materiale floydiano: la cover di “Opel”, oscuro brano di Syd Barrett rimasto inedito fino alla fine degli anni ’80 con la pubblicazione della raccolta omonima e quella “Biding my time” a firma Roger Waters, reperibile solo nella vecchia compilation “Relics” ed inclusa dagli RPWL nell’album “Stock”.
Appare chiaro fin dall’apertura del set, affidata all’atmosferica “Hole in the sky”, l’affiatamento raggiunto dai cinque, che in seguito alla pubblicazione dell’album “The RPWL Experience” hanno programmato un lungo tour mondiale: qui a Katowice la band è già più che rodata da una trentina di date e può permettersi un’esibizione disinvolta e divertita; il progressive rock suonato dagli RPWL è sicuramente assimilabile e punta molto su melodie di facile presa, ma ciò non deve essere interpretato come un difetto; musicalmente la proposta può essere vista a metà tra i Marillion di Steve Hogarth (si è anche un po’ suggestionati dalla somiglianza scenica tra quest’ultimo e Yogi Lang…) e una visione aggiornata e semplificata dei Pink Floyd stessi, privati della magniloquenza e delle attitudini sperimentali. La chitarra di Wallner risente dello stile di David Gilmour soprattutto nel timbro e predilige trame lineari e scorrevoli, il basso di Postl è molto presente, soprattutto nei brani in cui sceglie di utilizzare un Rickenbacker (modello customizzato “Chris Squire”, quest’ultimo chiaramente suo maestro ideale), la batteria è squadrata ed essenziale e le tastiere di Jehle sono… digitali, anche se “parlano” con timbriche vintage nelle poche uscite solistiche. In alcuni frangenti, Lang - vocalist ormai di grande esperienza - doppia le partiture tastieristiche su un Memory Moog, affascinante strumento raramente avvistato sui palchi odierni. In qualche occasione il gruppo tenta di coinvolgere il compostissimo pubblico (siamo pur sempre a teatro!), che pare deliziato da brani accattivanti come “Breathe in, breathe out” con le sue qualità da sing-along o quella “Roses” che su disco vedeva la partecipazione come guest vocalist di Ray Wilson dei Genesis; ottima la cover di “Opel”, qui arrangiata in modo da renderla stretta parente della più celebre barrettiana “Astronomy Domine” e suonata con accompagnamento visuale psichedelico (le famose diapositive di gelatina liquida); puro divertissement invece con il rock-blues di “Biding my time” e soprattutto con l’autoironica “This is not a prog song”, un brano pop radiofonico condito da spassose citazioni tutte mirate a sfatare il mito che vuole il prog sinonimo di seriosità. Marchio di fabbrica delle produzioni video della Metal Mind è la grande professionalità delle riprese: ben sette cameramen sono impiegati dalla regia e per quanto riguarda l’audio si può scegliere tra il mixaggio stereo ed il surround, mentre il programma principale dei contenuti extra consiste in un’intervista a Lang e Wallner che ripercorre la storia della band.
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