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MOLESOME Dial Roth Handle Recordings 2017 SVE

Molesome è nientepopodimeno che... Mattias Olsson in uno dei suoi progetti musicali più introspettivi, relativamente distante dal musicista progressive rock che siamo abituati a conoscere. A pensarci bene già in altri sui recenti exploit musicali Olsson ha dato prova di una certa imprevedibilità, del resto, come ha voluto sottolineare lui stesso nelle note allegate al cd, non è mai stato interessato a ripetersi nei suoi lavori; recentemente l'abbiamo ritrovato come batterista insieme ai lunatici Pixie Ninja e parallelamente con i più rassicuranti White Willow con il loro ultimo album; ora Olsson in questo secondo capitolo di Molesome si presenta in una veste abbastanza inusuale di musicista d'avanguardia e ricercatore sonico piuttosto estremo.
"Dial" è un lavoro scaturito come una reazione alle frustrazioni che possono nascere durante un processo creativo quando l'entusiamo non sempre procede di pari passo con la realtà circostante e finisce per svanire il più delle volte... Quindi Olsson ha scelto per l'occasione un approccio più radicale, adatto a un disco che si pone come un interessante ibrido di musica concreta/progressive con riferimenti industrial-noise piuttosto marcati, alla maniera di Throbbing Gristle e Lustmord: la costante di questo cd di trentadue minuti, stampato in edizione strettamente limitata, sono le interferenze sonore, i rumori che si insinuano tra voci frammentate nelle frequenze radio simulate in continuo movimento, nell'alternanza di trame musicali effimere ma efficaci e riconoscibili come parte del retroterra culturale progressive di Olsson.
"Dial" è un lavoro interessante, registrato nel giro di una settimana e praticamente improvvisato dal vivo, analogico nella sostanza, privo dell'intervento di pc, loops e programmi, musica colta e avanguardia quasi alla vecchia maniera, insomma, dalla quale scaturisce anche una certa originalità d'intenti, come nell'evocazione di un jazz cameristico crepuscolare e spettrale che delinea melodie lontane ed impalpabili tra le distorsioni sonore delle onde radio fino ad arrivare ad un clima cerimoniale freak/psichedelico dai toni kraut, con un mellotron sullo sfondo ad evocare paesaggi oscuri ed arcani su percussioni tribali un po’ alla maniera dei primi Tangerine Dream e Ash Ra Temple. "Dial" in conclusione suona come un lavoro tutt'altro che facile ed organico ma comunque estremamente spontaneo e con alcuni passaggi ed intuizioni notevoli che sanno fare vibrare in profondità le giuste corde intime degli ascoltatori...



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Giovanni Carta

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