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Disco dal vivo in edizione limitata e numerata con sole 151 copie disponibili per i Necromonkey, progetto portato avanti da un paio di anni dal batterista Mattias Olsson, noto per i suoi trascorsi con gli Anglagard e per numerose collaborazioni in ambito prog, e dal tastierista David Lundberg dei Gosta Berling Saga. Circa cinquantacinque minuti di musica per questa registrazione di uno spettacolo newyorkese datato 2014, in cui i due musicisti sono coadiuvati da Einer Baldursson alla chitarra e da Kringle Harmonist al basso. Sei i brani presenti che possono permettere, a chi non si era già avvicinato alla musica dei Necromonkey, di conoscere la proposta di questi svedesi. Ci troviamo di fronte ad un sound che sa essere pomposo e altisonante, ma anche asciutto ed essenziale, a tratti claustrofobico, a tratti pronto ad aprirsi ad atmosfere un po’ rilassate. “Being Pluto” e “Every dead indian”, le prime due tracce del cd, ci lanciano subito verso sonorità particolari, che prevedono slanci space-rock, ritmiche ossessive, effetti elettronici particolari ed anche una certa potenza di fuoco. Difficile trovare punti di riferimento precisi, così come quasi impossibile individuare delle similitudini con i gruppi da cui provengono i musicisti. Se proprio volessimo cercare un paragone, con un po’ di forzatura, potremmo puntare su un altro duo, più vicino a noi: i DAAL di Davide Guidoni e Alfio Costa. Con questi ultimi i Necromonkey condividono una sorta di attitudine verso una ricerca musicale senza barriere, che dà spazio a improvvisazione, che prova a dare una linfa nuova e moderna al rock sinfonico e che in non pochi frangenti sa essere anche opprimente. Tutto questo è avvertibile soprattutto nelle composizioni di più ampia durata ed oltre alle due citate, in questo lavoro, ci sono anche “Knock knock hornet’s nest” e “A glimpse of possible endings” che seguono più o meno la stessa scia. A completare la track list ci sono due pezzi più brevi, “Kinky panda” che nei suoi cinque minuti sembra un misto di hard rock e vecchio Progg svedese, e “The storm”, dalle intriganti atmosfere oniriche che hanno un qualcosa dei Pink Floyd d’annata. Mantenendo il paragone con i DAAL ci sembra che gli svedesi non reggano il confronto; la loro proposta, interamente strumentale, è sicuramente valida, con dinamiche interessanti e alcune intuizioni di un certo spessore, ma presenta anche difetti che non permettono di elevare i giudizi ad altissimi livelli, visto che si avvertono qualche lungaggine di troppo che dà l’impressione che i musicisti non sappiano con esattezza dove andare a parare, un sound a tratti talmente asciutto da sembrare freddo e una registrazione non proprio ottimale. Ci sentiamo di assegnare a questo live una sufficienza anche ampia, ma non di più.
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